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La pesca in fiume prima parte

Le mie prime esperienze di pesca alla carpa, utilizzando le boilie e le tecniche “moderne” che arrivavano dall’Inghilterra, le ho avute in fiume, più precisamente sul Piave, il più grande corso d’acqua della mia terra.

 

Eravamo decisamente poco esperti perché arrivavamo da un paio di stagioni svolte alle cave di Casale, due piccoli bacini dove era decisamente più facile riuscire a catturare carpe.

Il fiume ci attraeva molto di più perché pieno di incognite e misteri, primo fra tutti il non sapere esattamente  cosa si celasse nelle sue acque profonde e correnti.

Ripropongo questi ricordi di gioventù perché ritengo ci possa essere ancora molto di attuale, che potrebbe aiutare un neofita che decide di cimentarsi alla scoperta di questo particolare tipo di spot.

La prima difficoltà fu capire dove mettersi, cercando di individuare delle aree dove fosse certa la presenza delle carpe (che all’epoca non era poi cosa scontata). Riuscimmo a risolvere la cosa scegliendo uno spot alla fine di un campo gara di livello nazionale, certi del fatto che anche le grosse carpe fossero attratte in pianta stabile dalla pasturazione copiosa riversata nel fiume durante le competizioni. Inoltre, le informazioni raccolte dai pescatori locali, ci confortavano con le voci delle numerose rotture che avvenivano durante le competizioni, a causa dell’aggancio di pesci fuori portata per gli attrezzi usati.

Capimmo subito che in fiume si possono insediare le grosse carpe in due modi, caratterizzati dagli spot differenti.

   -Nelle aree di stazionamento

   -Nelle aree di passaggio

I pesci sono soliti stazionare alla fine dei giri d’acqua in uscita dalle curve più accentuate, dove la corrente scava delle poderose buche e spesso vi sono grosse piante cadute in acqua a causa delle piene e dell’erosione. In questi posti, il pesce riesce a stare al sicuro di questi inespugnabili rifugi, con l’acqua costantemente ossigenata, a causa del moto della corrente. Inoltre, la corrente stessa continua a portare nutrimento, praticamente fuori della porta di “casa” del pesce!

In questi spot è possibile catturare le carpe in ogni momento della giornata, basta che si apra una “finestra” di alimentazione per far cadere il pesce nel nostro inganno. Purtroppo la parte difficile è riuscire a estrarle, senza reciproco danno, dall’intrigo di rami e ostacoli che ci sono nei pressi.

Personalmente non amo molto questo tipo di approccio perché è rischioso per il pesce! Riconosco però che in alcuni casi l’unico modo per prendere i pesci è cercarli nei pressi della loro tana!

Le accortezze da mettere in campo sono l’utilizzo di monofili diretti (cioè caricati in bobina) di grosso diametro, non inferiore allo 0,40 mm. e sarà indispensabile l’uso di terminali che consentano lo sgancio immediato del piombo in caso d’incaglio.

Personalmente utilizzavo un sistema arcaico (all’epoca non vi erano tutti gli accessori odierni) con un “helicopter rig” dove il piombo da 140 grammi, era legato alla girella finale con un monofilo dello 0,20 mm.

Inoltre il terminale non superava le 20 libbre di tenuta e la lunghezza di 20 centimetri, garantendo che la parte più debole dell’intero costrutto, fossero proprio questi ultimi cm. e che la maggior parte delle rotture, lasciasse solo l’amo in bocca allo sfortunato pesce.

Un altro atteggiamento ideale, prevedeva di pasturare con esche molto attrattive (nel mio caso un fishmeal con aggiunta di fegato e sangue e aroma alla fragola) direttamente all’interno dei ripari, lontano dalla pescata, per poi dare uno stimolo abbondante al di fuori delle piante sommerse il giorno della pescata.

L’intento era abituarle alla pappa buona e convincerle a venire a mangiare appena fuori dagli alberi, guadagnando delle possibilità di successo.

Inutile aggiungere che dormivamo con le canne praticamente in tenda…e con un occhio aperto, pronti a ferrare al primo segnale!

Nonostante questo, catturavamo un pesce su tre, ma per fortuna non facevamo grossi danni e non ricordo di aver mai rotto l’intera linea, ma sempre il pezzettino finale.

Diventa indispensabile pescare di fronte agli ostacoli, con le canne alte , in modo che il filo non stia in acqua e per avere un contatto diretto con il pesce che permetta di estrarlo dal'impiccio dei rami evitando che ci si rifugi. Questo purtroppo è un grosso problema se si pesca in fiumi navigabili, perchè il filo che sporge fino a centro fiume può essere intercettato dai natanti di passaggio recando danni e possibili situazioni pericolose. Per nostra fortuna , quel tratto del Piave era poco frequentato dalle imbarcazioni.

Maturata un minimo di esperienza, decidemmo che era venuto il momento di sfruttare aree nuove, intercettando il pesce nei suoi spostamenti, visto che ci eravamo accorti che catturavamo pesci già presi anche in aree differenti, sinonimo questo di una certa mobilità.

Fu facile anche comprendere che il pesce tendeva a spostarsi durante le fasi di marea montante (il Piave è soggetto a elevate escursioni) quando cioè l’acqua del mare s’insinua sotto quella dolce, portando effettivamente nuovo nutrimento e stimoli.

Questo è il tipo di approccio che preferisco in acqua corrente e, di fatto, è quello che può dare i risultati più eclatanti a patto di scegliere con cura il posto giusto, pasturare bene e avere chiari alcuni concetti di base su approccio e terminali.

Ma di questo parleremo nella prossima puntata.