Giunti a questo punto facciamo un piccolo riassunto prima di proseguire: abbiamo capito in cosa consiste la tecnica del carpfishing, selezionato gli attrezzi più adeguati, imparato a fare un terminale e le boilies; quindi non ci rimane che scegliere un posto adatto e andare a pescare.
Semplice vero? Mica tanto…
Uno degli errori più comuni che si commettono agli inizi a causa della poca esperienza è credere che le grosse carpe siano disponibili a fare viaggi inimmaginabili per raggiungere le nostre esche, attratte come gli squali oceanici da chilometri di distanza quando percepiscono una goccia di sangue nel mare! (Altra leggenda metropolitana).
Le sostanze stimolanti ed attrattive che abbiamo appena iniziato a conoscere e comprendere sono in realtà in grado di fare identificare le boilies come cibo ad una distanza relativamente breve (in assenza di corrente, un veicolo in grado di spostare le particelle di pastura e segnali a qualche metro dalle aree pasturate).
Se volessimo inquadrare una misura di riferimento potremmo affermare che un pesce può individuare qualche boilies all’interno di un metro cubo d’acqua (quindi nello spazio di liquido a confine col fondo che misura 1x1x1 metri di lato) a patto che l’acqua sia pura e pulita. Siete stupiti da questo concetto di distanza attrattiva? Questo vi fa capire come il successo delle nostre pescate sia legato a una formula matematica (che mi sono inventato per far cogliere meglio il concetto) che si può così riassumere:
60% scelta del posto + 30% esca giusta + 10% fortuna
Tanti pescatori incolpano l’esca dell’insuccesso perché l’ultimo pezzo del terminale è il capro espiatorio perfetto per scaricarsi delle responsabilità. Quante volte ho sentito dire che non si sono prese le carpe perché mangiano solo sulla banana (e noi magari usiamo esche alla fragola!). Quante volte ho visto cambiare mille ricette da parte di pescatori poco attenti ai particolari fondamentali, mentre i pescatori di lungo corso usano tutta la vita 2-3 varianti in funzione più che altro della stagione!
Imparare a fare le esche e pasturare è importante, se non altro per comprendere che quando non si è presa la carpa che speravamo, non è (quasi) mai colpa della pallina!
Il capitolo sulla ricerca degli ambienti adatti e su come approcciarli è il più importante di questo libro e vi invito quindi a porre attenzione a ciò che leggerete.
Nel mio penultimo lavoro Carpfishing ambienti e strategie tratto tutti gli ambienti possibili e immaginabili, dai grandi fiumi e laghi (differenziando per caratteristiche peculiari i morenici dai vulcanici) fino ad arrivare alla cava a pagamento e i piccoli laghetti di campagna, mentre in questo scritto dedicato a chi inizia mi limiterò a citare i più adatti per il neofita indicando anche le motivazioni della scelta, l’approccio tecnico, dinamico e relativo alle esche. L’ordine sarà legato alle possibili difficoltà tecniche e ambientali che si possono incontrare, dal più facile fino ad arrivare ai più impegnativi.
Il lago a pagamento
Esistono molte realtà private che consentono accesso e pesca, previo pagamento di un ticket giornaliero, in assoluta sicurezza e con il proprio veicolo nelle vicinanze che può fungere da riparo per la notte alleviandoci dall’acquisto del materiale per campeggiare.
Per essere chiari, mi riferisco in modo particolare a quelle strutture senza velleità di “record del mondo” che sono ripopolate con un buon numero di carpotte d’allevamento e che possono fungere da “palestra” per un neofita, limitando i danni che l’inesperienza potrebbe causare alle preziose carpe selvatiche (preziose perché più rare e delicate). Comprendo che vi siano anche grossi bacini in grado di produrre enormi esemplari, con liste d’attesa di mesi o anni per accedere, ma non le considererei adatte per chi inizia perché vi sono a volte oggettive difficoltà intrinseche legate anche all’utilizzo di attrezzi specifici relativamente costosi.
Tornando quindi ai normali laghetti meno blasonati, ritengo siano il posto migliore per fare qualche uscita, valutare se abbiamo padronanza degli attrezzi, dei terminali e della gestione pratica del pesce sul materassino, per poi migrare verso acque libere dove ogni pesce preso è magico, unico e di enorme soddisfazione.
Pescare in questi ambienti non è difficile però bisogna considerare che non possono insegnare nulla sui bisogni alimentari delle carpe, sulle loro abitudini e su come debbano essere pescate in natura.
Gli animali che vivono in questi posti non hanno niente di naturale e la loro risposta agli stimoli alimentari è falsata dalle caratteristiche dell’acqua (a volte contaminata dall’eccesso di pasturazioni) e dallo stress indotto dalle ripetute catture.
La prima cosa da fare è seguire alla lettera le regole imposte dalla gestione che dovrebbero vietare lenze troppo potenti, montature con il piombo bloccato e ami muniti di ardiglione.
(L’ardiglione è quel baffetto posto dietro la punta che rende difficoltoso lo scardinamento dell’uncino una volta piantato). Quest’accessorio (verso il quale non nutro nessuna particolare avversione nell’impiego in libera) purtroppo rovina la bocca dei pesci quando questi vengono ricatturati molte volte consecutive creando nel tempo vistose cisti, malformazioni e lacerazioni a carico delle labbra.
È vero che si rischia di perdere più facilmente un pesce in caso di allentamento della lenza ma, di fatto, cosa importa in questo tipo di ambienti?
Pescare senza ardiglione vi renderà più sensibili nelle fasi di combattimento e imparerete a gestire la canna, la frizione e la tensione d’insieme in modo da diventare più competenti.
Per quello che riguarda gli attrezzi, sono sufficienti canne all round da 12 piedi e massimo 3 libbre, filo di nylon dello 0,35 e un montaggio con piombo da 80-90 grammi e terminale con un piccolo amo del numero 4.
L’esca è poco o per niente determinante vista l’impossibilità di stimolare il pesce in termini sensoriali classici.
Il mio consiglio è d’innescare un paio di chicchi di mais giallo pronto pesca (quello confezionato allo scopo) e di pasturare precisi intorno al terminale con una bombetta riempita con piccole pellet e pastura classica da fondo dolce.
Questi animali assumono l’esca a fior di labbra in modi a volte molto svogliati; per questo motivo potrebbe essere indicato alleggerire l’innesco usando un chicco vero e uno “falso” galleggiante, che è posto per ultimo sul capello a chiudere.
L’hair rig per questo tipo di approccio è più corto e il primo chicco rimane a 3-4 millimetri di distanza dal piccolo amo.
Invece che la bombetta, potete usare un metodo classico fatto di piccole palle di pastura da fondo impastata con il mais dolce da insalata e la sua acqua, lanciate in modo molto preciso sopra la vostra esca.
Le boilies sono poco utili e a volte controproducenti.
Chi si specializza in questi ambienti (perché magari attratto dalle gare a premi) utilizza in genere palline dette “pop up” ovvero leggere e galleggianti, che richiedono terminali specifici che non abbiamo visto nel capitolo dedicato.
Quest’approccio funziona al meglio con la tecnica della bombetta riempita con sbriciolato di boilies, micro pellets e farcita con liquidi attrattivi di varia natura.
Trattandosi di un sistema moderno e specialistico vi rimando, se interessati, al capitolo dedicato alle gare di Carpfishing ambienti e strategie.
In genere i pesci si muovono in lungo e in largo nello specchio d’acqua per cui la strategia d’intercetto prevede di sparpagliare le canne e fare delle piccole pasturazioni come indicato, cambiando posizione e rilanciando ogni ora se non si vede attività o non si effettuano catture.
Gli unici riferimenti plausibili potrebbero essere le secche se ci troviamo a pescare in ex cave di ghiaia o di sabbia. In questi casi sul fondale vi sono le vecchie strade sopraelevate, dove si muovevano i camion per caricare gli inerti.
Come si possono individuare?
Normalmente all’ingresso delle strutture vi è spesso una foto del laghetto presa dall’alto sulla quale è facile identificare le secche.
La stessa possibilità la offre Google Maps, uno strumento digitale che sarà molto utile anche per individuare dei buoni punti pesca in libera.
Altrimenti bisogna imparare a fare bene il “Plumbing” una tecnica di sondaggio del fondo che ora cercherò di spiegarvi perché fondamentale in libera.
È fuori discussione che poter pescare insieme ad un compagno di provata esperienza chiedendo con umiltà di imparare rappresenti la scelta migliore in assoluto, superiore a qualsiasi libro o manuale voi possiate consultare; in mancanza di questa opportunità vediamo come procedere da autodidatta.
In pratica faremo strusciare sul fondale un piombo sonda cercando di capire dalle vibrazioni e resistenze riportate dalla canna su che tipologia di fondale siamo capitati, e la presenza di eventuali ostacoli e dossi.
Si parte legando all’estremità della lenza un piombo da 90-100 grammi di forma tozza, preferibilmente a pera (esistono anche modelli specifici per il plumbing dotati di piccole alette che accentuano la sensibilità).
A questo punto eseguiamo il lancio cercando di andare qualche metro più avanti del punto in cui vorremmo depositare l’innesco in seguito.
La prima abilità consiste nel frenare il filo e riuscire a metterlo in leggera tensione appena il piombo tocca l’acqua in modo da capire quanto è fondo il punto in cui abbiamo lanciato.
Considerando che un piombo a pera affonda circa 1,5-2 metri al secondo, se riusciamo a contare mentalmente dal momento dell’impatto a quando il filo si rilassa (indice che la zavorra si è poggiata) sarà possibile ipotizzare quanti metri separano il fondo dalla superficie.
A questo punto abbassiamo la canna parallela alla superficie dell’acqua e tiriamo cercando di trascinare sul fondo il piombo stesso, quindi recuperiamo il filo in bando e ricominciamo. Alcuni carpisti preferiscono tenere ferma la canna e recuperare lentamente usando solo il mulinello.
La punta della canna ci rivelerà le resistenze incontrate durante il recupero e principalmente porremo attenzione ad alcuni segni molto importanti.
Se fatichiamo a spostare il piombo significa che quest’ultimo è sprofondato nel fango per almeno una decina di centimetri oppure che è finito in un banco fitto d’alghe.
La differenza si capisce appena riusciamo a sbloccarlo perché se era nel fango poi viene trascinato senza problemi, mentre se è fra le alghe continua ad incagliarsi e bloccarsi per poi ripartire.
Un fondale compatto, ciottoloso e duro rimanda continue vibrazioni e sobbalzi. In genere queste sono aree pulite ideali per posare l’innesco che sarà scorto con facilità dai pesci.
Un fondale limaccioso e molle si manifesta come una continua resistenza allo scivolamento che rallenta l’azione di recupero. I pesci mangiano anche in questi posti, ma il nostro terminale deve considerare la possibilità che il piombo si trascini anche l’innesco sotto la melma e non deve quindi mai essere più corto di 20-30 centimetri (o più in funzione dello spessore di limo).
Il dosso o il cambio di fondale che s’innalza, quello che cerchiamo per individuare le secche di cui parlavamo poc’anzi, crea un blocco allo scorrimento più marcato, seguito poi da un preciso vibrare che è facile identificare come la risalita del piombo.
Come si può fare a diventare molto abili in questa tecnica così importante? La strategia migliore è fare plumbing su fondali che già conosciamo e che sappiamo perfettamente come sono strutturati. A volte basta mettersi su un pontile in condizioni di acqua limpida che consenta la visione delle strutture sommerse e quindi provare a strisciare il piombo per memorizzare che sensazione danno le pietre, la sabbia, le alghe ecc. Altre volte lanciamo di là da una secca ben identificata e ascoltiamo di rimando cosa arriva alla canna. Il senso è quello di fare esperienza anche senza pescare, ossia dedicare alcune ore alla formazione di quelle abilità che poi ci aiuteranno a crescere come pescatori per affrontare posti più avvincenti e difficili.
Le uniche altre aree che vale la pena considerare sono le zone d’ombra a ridosso della sponda che possono offrire riparo durante la calura estiva. Purtroppo questo concetto di marginalità che sarà importante in molti altri ambienti è fortemente penalizzato dal disturbo provocato sulla sponda dal continuo passaggio di auto, pescatori e visitatori più o meno rumorosi. Per questo motivo diventa intrigante l’opzione sponda solo se la nostra postazione permette di agire indisturbati in un settore dove non vi sia passaggio. Sempre per questo motivo i pesci tendono a sostare al largo in tutte quelle cave che hanno dimensioni tali da garantire aree tranquille oltre i 100 metri da riva, una distanza considerata al limite del lancio per la maggior parte dei pescatori. La sicura presenza di secche e dossi a centro lago difficilmente raggiungibili senza tecnica specifica diventa il posto migliore in cui cercare di scagliare il nostro terminale. Il lancio a lunga distanza con un terminale munito di boilies richiede tecnica e attrezzi specifici per pasturare. In linea di massima questa è l’attitudine più ricercata nei garisti e in chi frequenta costantemente questo tipo di frangenti. In questi casi la preparazione atletica e l’allenamento costante al lancio fanno la differenza così come l’investimento economico necessario per canne e mulinelli specializzati.
Gli stagni e le cave di campagna
In tutta la penisola vi sono un numero impressionante di piccoli laghetti, stagni di campagna, ex cave di argilla e torba che offrono molteplici possibilità di pescare le carpe.
Si tratta in genere di bacini di piccole o medie dimensioni che presentano caratteristiche di habitat ideali per molte specie di ciprinidi, predatori, anfibi e crostacei che creano una fauna molto interconnessa e ricca. I laghi di campagna sono in genere degli scolmatori che raccolgono acqua piovana e di vena e rappresentano una riserva idrica importante per finalità agricole.
Le cave abbandonate sono aree industriali in cui si ricavavano argilla e torba per le fornaci (due materiali differenti che si trovano in strati geologici sovrapposti) fino al momento in cui, messe a nudo le vene d’acqua sotterranee, toccava abbandonare l’opera per l’allagamento provocato.
Le caratteristiche salienti di questi ambienti sono la scarsa profondità che raramente supera i 3-4 metri e la presenza di abbondante vegetazione ripariale e sommersa. Normalmente questi laghi sono abbastanza piccoli da poter percorrere l’intero perimetro agevolmente e riuscire quindi a porsi nei punti più favorevoli anche se a volte tocca liberare la posta da rovi e cannucce badando a essere più rispettosi e discreti possibile per non spaventare i pesci annullando le possibilità di successo.
Le carpe presenti in questi luoghi sono state seminate dall’uomo insieme alle tinche e alle altre specie e le loro dimensioni dipendono dal numero di esemplari presenti. Più pesci ci sono e meno grandi diventeranno perché le risorse alimentari sono molto contese; viceversa la presenza di pochi pesci è sempre sinonimo di ottime possibilità di incrociare le taglie da record anche se la difficoltà aumenta di conseguenza.
Questo tipo di acque sono la vera e propria palestra ideale per approcciare animali selvatici che seguono le regole alimentari imposte dalla natura, realizzando una sfida intrigante che aiuta a crescere come pescatori. Io le considero molto semplici per motivi legati alla logistica che permette di affrontarle con attrezzature ed esche molto semplici ed economiche.
Da un punto di vista pratico invece si deve avere l’accortezza di capire che la discrezione, il silenzio e le capacità di osservazione dell’ambiente determinano la percentuale di successo.
I periodi migliori per tentare la sorte vanno da fine aprile a novembre con temperature dell’acqua comprese fra 15 e 30 gradi centigradi. In questi sette mesi avremo la frega, momento di rispetto dovuto che però permette la visione diretta delle potenzialità (durante l’accoppiamento le carpe perdono molta inibizione e si fanno vedere e sentire) e il periodo estivo e autunnale che rappresentano l’apice del fabbisogno metabolico ovvero il momento in cui si alimentano freneticamente.
Con la temperatura a scendere sotto i 12 gradi, tipicamente durante i rigori dell’inverno, gli abitanti del laghetto abbassano il bisogno di cibo fino ad annullarlo e ricercano i punti fangosi più profondi per riposare in completa inattività.
La frega inizia quando l’acqua raggiunge i 18 gradi (basta che ci arrivi in alcuni punti del bacino per mettere in moto il meccanismo ormonale che condiziona gli animali) e si assiste ad un progressivo imbrancarsi in prossimità delle anse protette con vegetazione e bassa profondità.
Sono questi i punti dove calare le nostre insidie appena prima che avvenga la riproduzione conclamata, e che scatti il periodo di fermo amministrativo che ad onor del vero non è quasi mai preciso ed in sintonia con la natura.
Dopo questo evento le carpe si redistribuiscono sull’intera superficie utile pattugliando costantemente i margini in cerca di larve, anfibi, molluschi e crostacei.
Questo ci stimola a capire che le dobbiamo pescare dove normalmente ricercano il loro naturale nutrimento facendo trovar loro l’alimento artificiale e comodo proposto dalle nostre pasturazioni preventive.
In genere quindi non si pesca a centro lago salvo che non vi siano ostacoli interessanti come isole (emerse e sommerse) secche, manufatti abbandonati dall’uomo ecc. ma ci si concentra sul margine al limite delle radici delle piante più vicine alla sponda, le ninfee e la cannuccia palustre.
È proprio lì che si nascondono i piccoli animaletti di cui sono ghiotte e siccome queste fonti nutritive hanno abitudini crepuscolari, anche i grossi pesci si fanno catturare prevalentemente a favore di tenebre o nei cambi di stato rappresentati da alba e tramonto.
Come potete facilmente immaginare non servono attrezzi particolarmente impegnativi e potenti e in genere si prediligono canne corte da 10 piedi che permettono di muoversi anche sotto la chioma degli alberi presenti. La 12 piedi 3 libbre rimane la scelta più adatta per una canna versatile adattabile a più occasioni differenti.
Si pesca con nylon da 0,35 mm. con montatura di sicurezza e terminale in treccia da 15-20 libbre molto morbida e lungo almeno 20 centimetri.
Le zavorre possono essere leggere e questo ci permette anche l’utilizzo dei piombi sagomati per impastare il method, quella palla di pastura che si appiccica al piombo.
La tiger nut è una scelta adatta tutto l’anno e spesso l’unica possibile se l’ambiente è afflitto dalla piaga delle tartarughe americane, una specie aliena e invasiva che purtroppo colonizza con facilità questo tipo di stagno.
Questi animali sono in grado di tormentare il nostro terminale rendendolo inefficace e apprezzano particolarmente le boilies soprattutto se contengono farine proteiche.
Sembra invece che la nocciolina non sia di particolare interesse avendo l’accortezza di non fermentarla (usandola cioè subito dopo la bollitura), e che grazie alla sua durezza riesca a resistere ai morsi.
Per ottenere il massimo in termini d’invulnerabilità è meglio scegliere un terminale in nylon invece che treccia, realizzando anche il capello con lo stesso materiale e il montaggio “senza nodo” già visto in precedenza.
Questa rigidità aggiunta peggiora leggermente il modo di lavorare ma rende meno ingarbugliabile il tutto.
La pesca con le tiger nuts prevede di pasturare il posto qualche giorno prima lanciando le palle di pastura con le noccioline triturate e pochi semi interi per non saziare troppo i pesci.
Durante la pescata useremo la stessa modalità di offerta libera di sbriciolato con solo l’innesco intero. In commercio esistono diversi tipi d’imitazioni in plastica galleggiante dei piccoli tuberi e questo ci permette un particolare tipo di presentazione che prevede di usare in tandem una nocciolina vera ed una falsa per rendere più leggero il tutto e non farlo sprofondare nel fondale che a volte può essere molle o ricoperto da un folto tappeto di alghe filamentose.
L’assenza di disturbo ci permette l’uso della boilies che è l’esca migliore per pasturare più a lungo e abituare quindi il pesce a trovare le palline, perdendo la naturale diffidenza verso gli alimenti estranei all’ambiente.
L’ideale è usare sfere di piccole dimensioni in funzione del tipo di ciprinidi presenti, scendendo anche a misure tipo 15-18 millimetri se ci sono solo le carpe.
Questo perché le palle di grosse dimensioni hanno bisogno di tempi lunghi per essere accettate mentre ai calibri più piccoli bastano poche pasturazioni preventive.
Tutti i mix indicati vanno benissimo mentre per le parti liquide l’arachide è l’attrattivo che mi sento di consigliare perché molto apprezzato fin da subito anche dai grossi esemplari.
Per preparare la pescata in un bacino di piccole dimensioni avremo bisogno di 10 chilogrammi di boilies che distribuiremo negli spots prescelti in 2-3 azioni prima della pescata, riservandoci due chilogrammi di esca per la stessa. (Getteremo quindi 2-3 kg. di palline per volta in un paio di posti dove intendiamo calare gli inneschi).
La presenza di ciprinidi minori come scardole e tinche sconsiglia l’uso del mais che non permetterebbe alcuna forma di selezione.
Questo significa che se il mio interesse è catturare quanto più pesce possibile, magari pure le tinche (che sono un pesce meraviglioso da insidiare) allora conviene mescolare granoturco e boilies e pescare con una canna per tipo.
Sappiamo che le nostre amiche sono piuttosto abitudinarie e per questo cerchiamo di dare loro da mangiare nei momenti della giornata più consoni anche alla pescata stessa, comunque sempre nello stesso orario.
In questo modo appena arrivati sulla sponda, potremo impostare un’azione più leggera e poi lanciare le nostre insidie.
Se saremo fortunati il rumore stesso delle esche libere che cadono in acqua sarà di richiamo per i grossi pesci che avranno imparato ad associare quei piccoli tonfi e vibrazioni alla presenza di cibo comodo e succulento.
Grazie a questa strategia le catture potrebbero avvenire nelle ore appena successive al nostro arrivo.
Dopo ogni cattura si rinnoverà l’azione con un nuovo e misurato apporto di pastura prima di rilanciare la canna.
Il silenzio e la nostra presenza devono essere disturbati solo dal suadente gracchiare delle rane e nulla più! Questo per farvi intendere che il pesce è molto sospetto verso i rumori della sponda.
È buona regola non far sporgere troppo sull’acqua le canne e mantenere la propria area di confort lontana dagli avvisatori e dalla zona in cui caleremo.
Per le particolari prerogative del loro occhio le carpe non vedono la luce rossa e questo è il motivo che ci deve portare a preferire le lampade frontali che prevedono questo tipo di spettro luminoso, riservando il fascio di luce bianca solo alle operazioni svolte lontani dalla riva.
L’estate è un periodo che può generare anossia (scarsità di ossigeno disciolto) in questi ambienti che avendo acque scure attirano molto i raggi solari.
A causa di questo fenomeno la pescosità cala drasticamente quando le temperature superano i 30 gradi ed i pesci tendono a sostare apatici in superficie sfruttando le linee d’ombra offerte dalle chiome degli alberi sulle rive.
In questi frangenti non è opportuno offrire inneschi sul fondo e può diventare più produttiva la pesca a galla oppure con il galleggiante a mezz’acqua. Con questo vorrei farvi ragionare sul fatto che non sempre la “moderna” pesca alle carpe è garanzia di successo se non vi sono le condizioni che spingono i grossi ciprinidi a nutrirsi sul fondale.
Non siate quindi intransigenti sulla scelta della tecnica e apritevi anche a esperienze alternative come pescare con le crocchette per cani a galla, sfruttando lunghi terminali in fluorocarbon (un nylon particolarmente trasparente e poco visibile per il pesce) e il buldo ad acqua, un tipo di galleggiante con cui di solito si pescano trote in laghetto (ma questa è un’altra storia su cui non mi soffermerò).
Le uniche eccezioni potrebbero essere rappresentate da giornate di forte vento che ossigena l’acqua (in questo caso la sponda vincente è quella dove avete il vento in faccia) oppure dopo un temporale di buona intensità. In entrambi i casi vale la pena di tornare all’approccio classico sul fondale.
I canali
I canali sono stati la mia prima “palestra” per quello che riguarda la pesca in corrente ed è in questo tipo d’ambienti che ho iniziato a chiedermi come si muovono le carpe, di cosa si nutrono e come reagiscono alla corrente. Il veneto è una terra ricca di canali di ogni genere e dimensioni, alcuni enormi, profondi e navigabili e altri non più larghi di qualche metro.
Le carpe sono ben distribuite in questi corsi e l’intera penisola italiana è attraversata da innumerevoli vie d’acqua adatte alla pratica del carpfishing senza troppe difficoltà e con attrezzi tutto sommato economici ed adatti a chi comincia.
L’approccio è semplice se le dimensioni sono contenute mentre si complicano alcuni parametri negli ambienti più grandi come i navigabili con grande traffico di merci, ma vedremo nel dettaglio in seguito.
Il canale è un “fiume artificiale” costruito dall’uomo per scopi irrigui, per trasferire acqua dai bacini di contenimento e per la navigazione commerciale. In sostanza si tratta di un corso con sviluppo piuttosto regolare, per lo più rettilineo, con profondità costanti a volte interrotto da manufatti e attraversato da ponti (che sono interessanti se hanno i piloni immersi in acqua).
La ricchezza di flora e fauna facilita la pesca in senso assoluto e rappresenta la principale difficoltà per la cattura delle grosse carpe. La morale dei canali è che si prende sempre qualcosa, ma l’abbondanza crea disturbo se vogliamo selezionare la specie e la taglia!
Per questo motivo rappresentano una scelta interessante per migliorare approccio, pasturazione, terminali e gestione pratica del pesce in canna. L’attrezzo giusto è la classica 12 piedi tre libbre, dotata di buon mulinello da fondo armato di almeno 200 metri di nylon da 0,35 millimetri e capace di lanciare agevolmente un piombo da 120 grammi. In realtà la corrente è un problema relativo che nella maggior parte dei casi si affronta anche con zavorre da 60-80 grammi. La riserva di potenza ci permette l’utilizzo del “method”, l’approccio specifico con piombi particolari sui quali impastare la pastura collosa, da cui prende il nome il sistema (method mix), che si rivela molto catturante in presenza di acqua in movimento.
Il montaggio avviene di solito in linea e quindi ci troviamo ad avere la palla attrattiva a monte ed il terminale innescato a valle con tutte le particelle attiranti che fluttuano creando una scia che porta i pesci a trovare subito la nostra esca cadendo con facilità nell’inganno.
Ogni tipologia di pastura da fondo può essere adattata allo scopo inserendo alcuni additivi che migliorano l’aderenza dell’impasto.
In genere bastano 100 grammi di farina di glutine di grano per ogni chilogrammo (la si trova al supermercato come ingrediente sostitutivo alla carne nelle diete vegane), oppure nei casi in cui serva una tenuta massimizzata per resistere a lanci più spinti, si può aggiungere il PV1 che è una colla vegetale creata proprio per questo scopo, acquistabile nei negozi di pesca specializzati in pesca al colpo.
Le carpe dei canali sono abituate ad alimentarsi con ogni tipo di cibo vegetale e animale portato dalla corrente ed anche a causa della competizione alimentare non vanno molto per il sottile. Per questo motivo si rivelano adatte le granaglie in genere e tutte le tipologie di boilies, anche le commerciali economiche.
In genere dobbiamo presentare l’esca sotto sponda scegliendo le zone più battute dalla corrente come quelle a valle di una curva dove l’acqua “sbatte” contro la sponda mantenendo pulito e compatto il fondale facilitando la ricerca di nutrimento, oppure appena sotto le radici delle cannucce che sono il principale rifugio di tutti quegli animaletti di cui vanno ghiotte.
Le aree centrali del corso d’acqua, normalmente limacciose e con fondale molto molle, divengono interessanti solo se il canale è solcato da grosse imbarcazioni con motori in grado di smuovere il fondale al loro passaggio.
Questa condizione ossigena il fango mantenendolo sano senza putridume e solleva particelle di cibo inducendo una certa frenesia alimentare nei pesci dopo il passaggio.
Fate molto attenzione alla gestione pratica perché i motori a idrogetto delle grosse bettoline sono in grado di risucchiare anche il vostro terminale portandovi via un sacco di filo se non quasi anche le canne!
L’unico altro caso che rende il centro del canale interessante per la pesca è la presenza di un pilone di ponte oppure dei resti di un vecchio manufatto del passato, questo perché sul basamento di cemento si crea un habitat ideale per i molluschi e per i crostacei e anche perché la struttura rompe la corrente creando un’area di sosta e stazionamento ideale per i grossi pesci.
Si pesca in genere dietro l’ostacolo facendo attenzione che non vi siano rami e altri impedimenti pericolosi per la lenza.
Il canale si presta molto bene ai primi esperimenti di pasturazione preventiva di condizionamento atta a creare l’abitudine del pesce a visitare la nostra zona e alimentarsi con fiducia delle nostre esche. Per questo tipo d’approccio la boilies è la scelta migliore in termini d’efficacia.
Il periodo migliore è l’autunno quando la temperatura di aria e acqua cominciano a calare e fra giorno e notte si crea una discreta escursione termica. In questo periodo identificabile quando l’acqua scende verso i 15 gradi centigradi, le grosse carpe cominciano ad essere fameliche perché hanno bisogno di accumulare grasso per l’inverno.
Si comincia individuando il posto giusto con i riferimenti visti prima e una spiccata preferenza per un’area non troppo comoda da raggiungere in modo da non invogliare altri pescatori a sfruttare più o meno consapevolmente il nostro lavoro a loro favore.
Le acque sono di tutti e tutti hanno diritto a pescare liberamente, quindi consiglio di sfruttare la scomodità a nostro vantaggio per evitare di trovare la postazione impegnata.
Nella mia esperienza decennale mi è successo davvero raramente perché la maggior parte dei miei competitori preferiva avere la macchina in posizione agevole e non apprezzava di dover fare un discreto viaggio con gli attrezzi in spalla.
Si comincia con una buona quantità di granaglie a basso costo e poche boilies di ottima fattura alimentare ma scarse come attrazione chimica; in questo modo sono tutti invitati al banchetto e i pesci di scarso interesse si perdono dietro al mais facendo confusione, mentre le grosse carpe incuriosite possono trovare le palline a loro dedicate.
Il rapporto iniziale sarà di 10:1 ovvero un chilogrammo di boilies ogni 10 di granaglie, pastura o polenta ed il diametro ideale delle sfere sarà di almeno 20 millimetri.
Si passerà nel giro di 4-5 gettate, all’uso delle sole esche bollite, con un quantitativo di circa 4-5 chilogrammi per volta.
Il mix pet food presentato nel capitolo specifico è molto adatto allo scopo fino a quantitativi che definirei normali, ovvero compresi entro i 10 chilogrammi di palline a settimana, per passare a soluzioni più economiche, facili da gestire e nutritive se si deve salire oltre questa soglia.
Oltre le due settimane consecutive di alimentazione s’inizia a parlare di “lungo periodo” entrando in una specializzazione al limite degli obbiettivi didattici di questo libro.
Ormai che ci siamo vediamo un extra dedicato al mix con soli 3 ingredienti:
1. Farina di soia grassa tostata, una farina nutritiva molto importante che permette di amalgamare gli altri due aumentando le potenzialità di gusto grazie ai fattori emulsionanti dei grassi (che sono la parte più saporita del terzo ingrediente).
2. Semola di grano duro rimacinata, serve per gestire l’elasticità dell’impasto e la compattezza delle esche una volta bollite.
Queste caratteristiche sono appannaggio del glutine, una proteina vegetale molto legante.
3. La farina d’aringa, una farina di pesce ricca di gusto, proteine e pochi grassi essenziali che gestisce la componente nutritiva delle nostre palline.
Questi tre ingredienti si miscelano in parti uguali (esempio: un chilogrammo ciascuno per ottenerne 3 di mix pronto) e s’impastano solo con una salsa di pesce fermentato tipo la Squid Brand (80 ml. per kg.) e circa 6-7 uova medie.
Per questo tipo di boilies non servono infatti altri attrattivi e si possono rullare a mano in grossi diametri, oppure tagliare cubi di dimensioni più generose.
Avendo iniziato l’azione di condizionamento a inizio autunno, ci troveremo con l’area pasturata molto attiva quando l’acqua scenderà sotto i 12 gradi e ci saranno soprattutto carpe in alimentazione venendo meno la spinta metabolica per altre specie di disturbo. Questo ci permetterà di raccogliere i frutti di tutto il lavoro fatto in precedenza e avremo le condizioni ideali per fare delle pescate memorabili! Andremo a ridurre le quantità solamente quando noteremo un calo dell’attività e delle catture, mentre sospenderemo il tutto passando la famigerata soglia degli 8 gradi d’acqua, al di sotto della quale i canali, in genere, si spengono.
Rimangono attivi solo gli spot in prossimità del mare e delle lagune perché usufruiscono del beneficio alimentare dovuto all’apporto di cibo che si trasferisce dall’acqua salata verso quella dolce (sfruttando l’insinuarsi dell’alta marea) che tiene mediamente attive le grosse carpe. Questa tipologia di canali rappresenta un contesto tecnicamente più difficoltoso come approccio, attrezzature e qualità delle esche, ma degli ambienti salmastri mi occupo in “Carpfishing ambienti e strategie” un libro molto più tecnico.
Nel periodo invernale si dovranno cercare le zone termicamente più confortevoli dove possiamo trovare i pesci che svernano e tentare la sorte con poche palline posate con attenzione. Le aree più specifiche sono le buche (ove presenti), gli immissari che apportano acqua più calda, oppure i manufatti in cemento che in genere si scaldano anche se esposti al tiepido sole invernale.
È il momento più duro dell’anno e le catture si riducono al lumicino costringendoci a gestire diverse uscite a vuoto (i così detti “cappotti”, termine che si riferisce all’indumento invernale per eccellenza) ma questo fa parte del gioco e del bagaglio d’esperienza che ci servirà a diventare pescatori completi. Questi insuccessi ci spingeranno, infatti, a cercare sfogo nei fiumi, gli ambienti che offrono le maggiori possibilità di riuscita con il clima freddo. Purtroppo la pesca in questo caso diventa più difficile e serviranno accorgimenti tecnici particolari, oltre ad un vestiario adeguato e all’atteggiamento mentale per affrontare i rigori, l’umidità e i sacrifici. Anche in questo caso il consiglio è di iniziare con ambienti di piccole dimensioni, con larghezza dell’alveo non superiore ai 30 metri e correnti non troppo violente.
L’approccio è lo stesso ma “maggiorato” in termini di potenza, con canne che salgono fino alle 3,5 libbre in grado di gestire zavorre anche da 200 grammi. Anche questo è un argomento tecnicamente più complesso, per questo motivo mi limiterò ad alcune considerazioni.
Il fiume
I fiumi di medie e grandi dimensioni presentano caratteristiche differenti lungo il loro corso e non possono essere inquadrati come un unico ambiente. Ci sono le massicciate artificiali poste a salvaguardia delle sponde per proteggere dall’erosione delle correnti, le morte divise o collegate al corso principale, le grandi anse e curve, le secche di sabbia e la foce.
Ogni variante deve essere interpretata in funzione della stagione, della portata d’acqua e delle possibilità logistiche del pescatore. Molti punti sono raggiungibili solo con barche attrezzate e di conseguenza non si prestano all’approccio da parte di un principiante che non abbia attrezzi specialistici a volte costosi.
Esistono però numerosi fiumi minori ben distribuiti lungo la nostra penisola, appetibili anche per chi è agli inizi, e che si trova magari la postazione comoda e vicino a casa. Per questo motivo ho deciso di chiudere il capitolo sugli ambienti con questi ambienti, limitandomi alle massicciate artificiali (dette anche pennelli o prismate) e affrontando le altre opportunità negli altri libri.
Lo scorrere più o meno impetuoso della corrente erode il fondale e le sponde con grande forza in quei punti dove la cozza con le sponde. Questo meccanismo libera un sacco di nutrimento naturale e per questo motivo i pesci sono soliti visitare continuamente questi posti senza bisogno di essere attratti da pasturazioni preventive. L’essere umano protegge la riva battuta con delle strutture artificiali composte di grossi massi posizionati come una sorta di muraglia che sprofonda fino a diversi metri sotto il livello dell’acqua. Alla base di queste prismate si creano dei depositi di sabbia che si trovano a pochi metri dalla riva dove andremo a concentrare la nostra azione di pesca grazie ad attrezzi e montaggi di cui discuteremo fra poco. In questi punti strategici si ferma anche il cibo organico e le fenditure fra le pietre diventano preziose tane per gli abitanti del fondale di cui le grosse carpe vanno ghiotte. Un altro innegabile vantaggio è dato dal fatto che in genere queste protezioni sono facili da raggiungere perché si trovano in prossimità di paesi e strade e anche perché il cantiere necessario alla loro posa lascia disponibili delle vie d’accesso. Come accennavo alla fine del paragrafo sui canali, queste aree sono ricche di pesce tutto l’anno e diventano particolarmente interessanti d’inverno perché cala la presenza delle specie minori che disturbano e si riesce a catturare carpe anche di giorno senza bisogno di battute di pesca lunghe ed impegnative.
I grossi ciprinidi che vivono in corrente mangiano sempre per sostenere il loro metabolismo spinto ai massimi livelli a causa del continuo nuotare.
Iniziamo a ragionare di attrezzi e strategie rammentando a tutti gli interessati che pescare da una massicciata che si affaccia sulla corrente del fiume richiede attenzione ed accortezza, oltre a calzature tecniche che impediscano di scivolare sulle pietre creando seri problemi alla propria incolumità. Per questo motivo mi raccomando con i miei giovani lettori perché si facciano sempre accompagnare da adulti per affrontare questo tipo di pescate. Non servono più di due canne e anzi, a volte, si fatica a gestire e rilanciarne una. Servono attrezzi lunghi da 12 o 13 piedi e di potenza superiore alle 3 libbre. Gli specialisti del fiume in genere utilizzano quelle nate per lanciare lo spod che sono economiche e molto potenti, abbinandole a robusti mulinelli da fondo di provata affidabilità, in grado di caricare 200 metri di nylon da 0,50 millimetri di diametro minimo. Si tratta di una robustezza necessaria a contrastare il pesce che gioca con la corrente a proprio favore (una carpa da dieci chilogrammi che vive nella corrente è in grado di dare del filo da torcere come se pesasse almeno il doppio!) e per preservare la lenza madre dallo strusciare sulle rocce che sono molto abrasive. Questo è anche il motivo per cui suggerisco attrezzi lunghi che permettono di far entrare il filo in acqua più possibile lontano dalla sponda e dai massi.
Si usano zavorre importanti di solito superiori ai 200 grammi, non per esigenze di lancio (che di solito è contenuto e non supera i 20 metri) ma di tenuta sul fondo battuto dallo scorrere più o meno violento dell’acqua.
Il piombo deve essere fissato su clip di sicurezza che garantisca il distacco rapido in caso d’incaglio fra i massi, eventualità questa tutt’altro che rara (meglio usare quelle con ponticello metallico). Quest’osservazione mi spinge a suggerirvi di usare zavorre poco costose come le “saponette” specifiche per la pesca in fiume che sono vendute a peso. Siccome il piombo è un materiale tossico, si possono trovare delle versioni definite non inquinanti che sono realizzate con materiale ferrosi degradabili, oppure creare da soli l’alternativa usando ciottoli di fiume dal peso variabile fra 200 e 400 grammi.
Questa scelta casalinga abbatte i costi e ci rende più responsabili nei confronti dell’ambiente. Realizzare le nostre zavorre è facile, basta procurarsi la colla bi-componente destinata al marmo (si trova in tutte le ferramenta) e utilizzarla per incollare sul sasso una semplice girella a barilotto d’ottone oppure un occhiello in rame. Le immagini che seguono descrivono l’operazione in modo chiaro. La resina è atossica una volta asciutta, mentre in fase d’impasto dei due componenti conviene lavorare in una stanza ben arieggiata.
Il terminale ideale deve essere realizzato con nylon o fluorocarbon di ottima qualità ed elasticità, scegliendo un diametro (e relativo carico di rottura) leggermente inferiore alla lenza madre. Questo espediente permette la rottura dell’ultimo pezzo in caso di emergenza riducendo notevolmente i rischi e le problematiche del pesce che può scappare solo con l’amo in bocca.
L’esca migliore è la boilie selezionando i diametri sopra i 20 millimetri (da 24 a salire la misura ideale) selezionata fra le ready made più affidabili oppure realizzata in maniera autonoma con i mix consigliati nel capitolo sulle esche, preferendo quelli che contengono anche farine animali, che sono i più indicati con gli affamati pesci di fiume.
Anche il peso specifico è molto importante perché dobbiamo ricordarci che la corrente sposta tutto verso valle, soprattutto i nutrienti più leggeri e instabili. Per essere certi che l’innesco e la pastura di contorno siano ravvicinati conviene inserire le esche libere in una retina solubile o infilarle su di un filamento sempre di PVA.
Le palle di pastura e le polente rappresentano una possibilità interessante a causa della scia di particelle che saranno spostate a valle dalla corrente richiamando i pesci da lontano.
La soluzione più rapida per questo scopo prevede di ammollare del pane secco raffermo per poi impastarlo con la normale pastura da fondo oppure il fioccato di mais e terra argillosa che alzerà il peso delle palle creando anche compattezza. In genere i tre ingredienti si dosano in parti uguali. All’interno possiamo inserire anche pellets oppure pezzetti di boilies rotte, le stesse che andremo a innescare. Queste sfere della dimensione di un’arancia vanno gettate in acqua a monte della zona dove caleremo il terminale per essere certi di compensare la discesa verso valle relativa alla spinta dell’acqua. Per comprendere meglio questo concetto è bene sapere che una palla compatta lanciata in corrente, su un fondale di circa cinque metri di profondità, tocca il fondo 5-10 metri più a valle del punto in cui l’abbiamo scagliata (dipende ovviamente dalla velocità di scorrimento dell’acqua). Siccome le particelle scenderanno comunque a valle interessando l’area di pesca, diciamo che conviene comunque stare almeno dieci metri più su della nostra postazione. A questo punto non ci resta che lanciare le nostre due canne in parallelo fuori della linea delle rocce, disporle sui picchetti piantati ben saldi, allentare la frizione e attendere l’avviso di abboccata dato dal repentino sfilare del filo dalla frizione. A quel punto si ferra decisi e si combatte…e in bocca alla balena!
Vuoi approfondire il magico mondo della pesca in fiume? Ti lascio il link ad altri articoli qui sul blog più tecnici e approfonditi, sia come tecnica sia come esche.
(la pesca in fiume seconda parte)
(ricetta fish mix economico da grandi quantità)