(in copertina SHE, una carpa che ho catturato OGNI inverno per 5 anni consecutivi ed a cui ho dedicato l'immagine sul sacchetto delle ready made prodotte a mio nome)
(clicca qui per leggere la storia di SHE)
Siamo così arrivati al “pippone” finale sull’etica che caratterizza la pesca sportiva e nello specifico il carpfishing. Mi auguro che abbiate voglia di leggere anche quest’ultimo capitolo, perché questo farebbe di voi dei lettori illuminati e in sintonia con questo progetto.
Parleremo di rispetto per il pesce e di come esplicare un’azione di pesca che tenga di conto questo aspetto in tutte le sfumature possibili, dalla pasturazione, al combattimento, fino ad arrivare alle foto di rito. Tutti argomenti comunque interessanti anche da un punto di vista tecnico.
Vorrei cominciare con un piccolo racconto personale che potrebbe farvi capire l’importanza per la pesca del futuro di un gesto che abbiamo già definito come catch and release, che significa semplicemente rilasciare incolume il pesce dopo averlo catturato.
Ho avuto la fortuna di essere un pioniere del carpfishing nelle mie zone e questo mi ha permesso di pescare per primo le carpe in tanti laghi, fiumi e canali. Un ambiente in particolare mi ha sempre affascinato perché ci pescavo fin da bambino ben prima di diventare specialista nella ricerca delle grosse carpe; mi riferisco ai bacini naturali conosciuti come laghi di Revine. In questo magnifico posto ho fatto le mie prime pescate nel 1992 ed ho chiuso la mia avventura nel mondo della pesca sportiva nel 2012, vent’anni di chiusura del cerchio durante i quali ho avuto modo di catturare tutti i grossi pesci presenti e anche molte carpe di piccola e media taglia.
Ancora oggi (siamo nel 2022…) mi capita di vedere foto di giovani carpisti che affrontano queste acque alla ricerca del record che è spesso identificato in una carpa regina di peso superiore ai 20 chilogrammi, pesce a me noto perché lo catturai in diverse occasioni monitorandone la crescita dai 10 ai 16 kg. Ogni volta che vedo un pescatore felice con questo magnifico esemplare in braccio, mi piace riconoscermi un po' di merito condividendo quella gioia resa possibile dal mio gesto di molti anni prima!
Se avessi trattenuto quel giovane pesce la prima volta che lo catturai (pratica peraltro autorizzata e legale), per farla vedere al bar o per mangiarla in compagnia, avrei privato decine di appassionati della possibilità di una foto ricordo a sugellare una magnifica pescata sul lago! Se mi fossi sognato di trattenere un decimo dei pesci pescati, avrei facilmente deturpato e derubato questo meraviglioso lago di un numero rilevante di potenziali record futuri, rendendo meno stimolante la pesca e creando danno alla collettività.
Ogni pesce rilasciato è una risorsa disponibile per i pescatori di domani, fra i quali potrebbero esserci anche i nostri figli!
(clicca qui per vedere le foto di questo magnifico pesce e leggere la storia)
Fatta questa introduzione al tema, torniamo a parlare di tecnica applicata alla pesca, analizzando da un punto divista etico e responsabile tutto ciò di cui abbiamo discusso nei capitoli precedenti.
In merito ai terminali è chiaro che si deve cercare di prevedere il danno provocato da eventi catastrofici tipo la rottura della lenza durante il combattimento. Abbiamo già visto come negli anni ’80 i brillanti pionieri dell’epoca inventarono soluzioni di sicurezza che permettono lo sgancio del piombo in caso d’incaglio dello stesso in qualche ostacolo, lasciando in bocca al pesce solo l’amo con uno spezzone di filo attaccato.
A tal proposito molte acque private obbligano all’utilizzo di ami senza ardiglione, ma di cosa si tratta nello specifico?
L’ardiglione è una piccola bava ricavata dal fusto dell’amo in prossimità della punta che impedisce all’uncino di sfilarsi dal punto di aggancio, rendendo quindi difficoltoso per il pesce liberarsi. L’assenza di quest’accessorio favorisce lo sfilarsi dell’amo non appena viene meno la trazione sulla lenza o quando in pesce si divincola rigirandosi su se stesso.
Quando si usano i “barbless hook” (termine inglese che definisce questo particolare tipo di amo) è fondamentale usare canne piuttosto morbide e nylon dotati di una certa elasticità al fine di mantenere sempre una buona trazione sul pesce sfruttando l’effetto molla dell’attrezzatura per ammortizzare le testate e le fughe repentine.
Con una buona mano e una certa sensibilità nel tarare non troppo morbida la frizione è raro perdere la cattura, ed il vantaggio pratico più evidente è che in genere il pesce si slama da solo all’interno del guadino, favorendo in pratica tutta la fase finale di gestione e rilascio.
Verrebbe quindi voglia di suggerire questo tipo di soluzione in tutti gli ambienti (anche molte acque libere e concessioni sono sottoposte a questo tipo di limitazione) ma mi rendo conto che questo farebbe perdere diversi pesci a chi non ha ancora affinato la sensibilità di cui sopra, per questo mi permetto di suggerire una soluzione intermedia che presenta più vantaggi che problematiche: l’uso del micro ardiglione. Gli ami di ultima generazione presentano, infatti, un baffo di dimensioni ridotte che mantiene comunque la punta in sede favorendo la fase iniziale di aggancio, dove un ardiglione di misura generosa sarebbe quasi un impedimento.
Sempre restando in tema di allamata mi preme suggerire di avere sempre a disposizione una pinza a becchi lunghi per agevolare l’operazione di rimozione dell’amo dalle labbra del pesce. Questo passaggio deve essere svolto con mano decisa e sfruttando la leva offerta dall’utensile che permetterà di lasciare un foro pulito facilmente rimarginabile. La carpa è un pesce ideale per la pratica del catch and release, proprio perché ha una struttura labiale solida che cicatrizza velocemente senza particolari disagi.
Questa delicata operazione si deve svolgere sopra il materassino imbottito mantenendo il pesce fermo e bagnato. La pelle della carpa è infatti coperta da un muco protettivo che potrebbe restare appiccicato al tessuto asciutto, privandola della principale difesa contro le infezioni batteriche. Le branchie ben idratate le consentono inoltre di riuscire a respirare anche se si trova fuori del suo elemento naturale.
Siccome il nostro trofeo è rappresentato da qualche foto, suggerisco di approntare il set fotografico prima della cattura in modo da essere già pronti al momento opportuno senza perdere tempo o rischiare di fare uno scatto non ottimale. Trovate quindi il corretto appoggio per il telefono o la macchina fotografica e provate l’autoscatto e l’inquadratura in precedenza (ovviamente se vi trovate in compagnia è tutto più semplice).
Il tempo di permanenza fuori dall’acqua è relativo alla temperatura esterna ed all’umidità. Nelle giornate afose e calde già 5 minuti possono causare sofferenza nel pesce, mentre in autunno con 15 gradi si possono gestire tranquillamente le operazioni anche in un tempo doppio. Non essendoci una regola fissa è corretto affermare che le carpe debbano essere maneggiate nel minor tempo possibile.
Accessori come il carp sack soprattutto nelle versioni galleggianti ci possono garantire tempistiche migliori fondamentali se si vuole realizzare una bella foto in acqua con il pesce, il sogno di tanti carpisti, permettendoci di indossare gli stivali, organizzare la macchinetta ecc.
Le carpe NON vanno assolutamente lasciate in sacca per più di qualche ora!
Tutte queste informazioni NON valgono per le carpe erbivore (Amur) che sono estremamente delicate e che vanno rilasciate immediatamente dopo la cattura previa ossigenazione attiva che si pratica tenendole in acqua per la coda e muovendole avanti ed indietro per favorire l’espulsione dell’aria ingerita.
Nel caso specifico dell’Amur bisogna essere pronti e avere ben chiaro il comportamento da mantenere.
Nonostante tutto capita che qualche esemplare non superi lo shock della cattura nei casi in cui il combattimento sia andato avanti per troppo tempo, per questo motivo bisogna prevedere attrezzature robuste se si vogliono pescare in modo specialistico questi delicati animali.
Io personalmente ho smesso di ricercarle proprio perché preoccupato da questa loro vulnerabilità.
Come si devono maneggiare questi grossi animali?
Mi sembra doveroso darvi alcune indicazioni su come impostare la foto cercando di arrecare minor fastidio possibile ai grossi pesci che fuori dall’acqua presentano una vulnerabilità dovuta al loro ventre molle incapace di sostenere e proteggere le viscere.
Se infatti pensiamo alla sensazione che possiamo provare quando facciamo il bagno in piscina diventa più facile cogliere l’assenza di peso di un corpo immerso nel liquido e comprendere come i pesci non abbiano fasci muscolari adatti a sostenere la loro struttura fisica fuori dall’acqua.
Le grosse carpe non hanno maniglie e sono scivolose, per questo la prima causa di danno fisico o morte potrebbe essere la caduta accidentale dalle nostre mani, agevolata dal fatto che a volte non hanno nessuna voglia di farsi fotografare e quindi si divincolano!
La prima regola è stare in ginocchio nei pressi del materassino imbottito e non sollevarle troppo in alto in modo che la caduta accidentale avvenga sempre sopra la superficie anti urto senza troppo dislivello.
Una delle cose più stupide che si possono fare è cercare di spingere più avanti possibile le braccia per avvicinare il pesce all’obiettivo (cercando di farlo apparire più grosso) rischiando più del dovuto di farlo cadere e collezionando l’appellativo di “cazzaro” da parte di tutti i pescatori con un minimo d’esperienza che capiscono al volo la furbata.
Per riconoscere questa tipologia di “pantaloni” del web è sufficiente confrontare il rapporto fra la dimensione delle mani (sparate in primo piano) e quelle del volto che appare come piccolo e lontanissimo!
La presa ideale è quella che si ottiene ponendo una mano all’altezza delle pinne ventrali anteriori, quelle immediatamente sotto il collo dell’animale e l’altra in concomitanza della pinna posteriore anale, quella per capirci sotto il corpo in prossimità della coda.
Tutta l’area della pancia deve essere lasciata libera e non deve essere compressa.
Come dicevo poco prima la massima espressione di sicurezza è rappresentata dalla foto in acqua. D’estate è possibile immergersi con i sandali, pantaloncini e maglietta e posare abbracciati al pesce dei nostri sogni. Il fatto di essere a nostra volta bagnati non lede il prezioso muco protettivo e questo ci permette un contatto molto stretto con le braccia a culla.
Le altre stagioni prevedono ovviamente maggiori accortezze per la nostra salute essendo l’acqua piuttosto fredda per fare un bagno. La soluzione più semplice è rappresentata dai Waders, stivaloni in pvc o neoprene che s’indossano sopra i vestiti e ci permettono di entrare fino all’altezza del petto. Il particolare materiale con cui sono costruiti è molto liscio e delicato in termini di contatto diretto con il corpo del pesce.
Accompagnarle nel loro elemento è un’emozione impareggiabile così come poterle seguire brevemente nel momento del distacco.
A volte non se ne vogliono andare e rimangono per interminabili secondi immobili a guardarvi come se avessero capito che non hanno più nulla da temere da voi. Quelle volte si allontanano senza violenza né paura ed è forte la tentazione di provare a riabbracciarle.
Ma ci sarà un’altra occasione e la carpa della vita e quella che vi aspetta ogni anno, come è capitato a me per cinque stagioni consecutive!
Anche l’uso della pasturazione e delle esche merita approfondimento in termini etici e gestionali.
Partiamo dal presupposto che le sostanze che gettiamo in acqua, per quanto semplici come il mais, rappresentano una forma d’inquinamento organico in grado di modificare l’ambiente in termini distruttivi.
Ho preso volutamente ad esempio il cereale più famoso di tutti perché la relativa economicità può facilmente spingere verso l’abuso in termini di quantità e non è raro sentire pescatori che vantano l’utilizzo di quintali di prodotto scaricati più o meno consciamente in acqua.
Queste sostanze tendono a marcire sul fondale se non sono mangiate dai pesci, oppure arricchiscono di scoria azotata l’ambiente quando sono consumati, trasformati ed espulsi sotto forma di feci ricche di fibra. In entrambi i casi il potenziale danno biologico è tanto più impattante quanto maggiore è il quantitativo in rapporto alle dimensioni del posto di pesca.
Per fare un esempio banale, l’uso di 5 chilogrammi di mais al giorno da parte di un gruppo di 10 pescatori (50 kg.) può essere irrisorio in una grande lago brianzolo, oppure deleterio nel laghetto di campagna largo 100 metri!
È una questione di quantità e di sensibilità nello stabilire quanto pesce può essere interessato dai nostri inneschi, dosando il modo da non sovra caricare con il rischio di saziare le carpe e compromettere negativamente l’intera pescata.
Per fare degli esempi pratici riferiti ai contesti trattati in questo libro, con un chilogrammo di boilies (fra intere e sbriciolate) ed un chilogrammo di pastura da fondo si gestisce tranquillamente una giornata di pesca in laghetto, mentre in canale si dovranno come minimo triplicare le quantità che andranno invece decuplicate nel fiume.
Questo perché la corrente disperde e consuma più velocemente la nostra pastura e anche perché in acqua corrente ci sono molti più pesci che partecipano al banchetto.
Una buona regola dice che si fa sempre a tempo a riportare a casa le esche in più, mentre se finiscono durante la pescata a fronte dell’attività dei pesci si perdono un sacco di opportunità di catturare!
La pasturazione preventiva applica quantitativi simili in apporti che vale la pena di distribuire in 2-3 uscite a giorni alterni prima della pescata stessa, ovviamente dove è possibile farlo.
Questa pratica di condizionamento ormai desueta amplifica notevolmente le possibilità di successo della pescata perché la carpa è un animale opportunista, metodico e abitudinario, tanto da poter essere “addestrata” a mangiare nei momenti più opportuni in tutti quegli ambienti che offrono scarso cibo naturale.
Non esistono sostanze magiche che facciano mangiare i pesci se non hanno fame e l’uso di farmaci e stimolatori ormonali veterinari è una pratica malsana, spesso illegale e sicuramente non rispettosa della salute dei pesci.
Lo stesso dicasi delle pratiche che prevedono l’uso di sostanze organiche e minerali primarie utilizzate senza cognizione di causa e quantità.
È emblematico l’esempio del sale marino o da cucina (il cloruro di sodio per intendersi) che viene ritenuto da tanti come attrattivo in termini ionici, mentre da altri è considerato uno stimolo minerale interessante solo pre frega.
Capite da soli che ci sono differenze sostanziali e imbarazzanti nel mettere un cucchiaio di cristalli in una bombetta o scaricarne un secchio dalla barca!
Quello che probabilmente non sapete è che un eccesso di salinità rovesciata sul fondale è in grado di uccidere tutta una serie di microorganismi e animaletti che popolano il fondale e che hanno tolleranza prossima allo zero per questo elemento chimico.
Non fatevi prendere dalle leggende metropolitane e siate sempre parchi nell’utilizzo delle sostanze quando queste sono pure o molto concentrate.
Rimanendo in tema di buoni consigli per chi comincia a interessarsi a questa tecnica, mi sento di suggerire l’iscrizione a un gruppo o club dedicato, in modo da poter conoscere pescatori più esperti e farsi magari dei buoni amici con cui condividere le prime pescate.
In Italia esiste da sempre un’associazione che ci chiama C.F.I. (acronimo di carpfishing club Italia) presente con numerose sedi sul territorio, tutte facilmente accessibili consultando le pagine social dedicate.
Così come esistono società sportive dilettantistiche che accomunano pescatori dediti alle competizioni.
In questi anni dominati dal virtuale che permette un numero infinito d’interazioni senza creare alcun legame fisico, la strada dell’incontro personale rimane ancora la via migliore per condividere interessi comuni.
La vita associativa ci mette in comunicazione con un sacco d’iniziative molto interessanti da un punto di vista etico e di sopravvivenza della pesca sportiva, tipo le azioni di pulizia che mirano a liberare i posti di pesca dai quintali di rifiuti (lasciati a volte da pescatori molto poco sportivi…), i ripopolamenti che offrono nuova vita ai nostri corsi d’acqua e la vigilanza ittica attiva che ci salvaguardia dalla piaga del bracconaggio.
Il prelievo abusivo del pescato, perpetrato da organizzazioni criminali e anche da semplici “carpisti” è un problema epocale che ha gettato sconforto, rassegnazione e rabbia su un’intera generazione di appassionati generando diatribe e divisioni devastanti.
Al già vergognoso fatto di commercializzare illegalmente a fini alimentari i pesci italiani all’estero si è sommato l’ignobile comportamento di chi ha spostato animali nati e cresciuti in libertà in laghi privati, sottraendo un prezioso bene comune alla collettività per denaro, o per pescarli in via esclusiva.
Questo comportamento immorale e immondo merita di essere duramente condannato con ogni mezzo ed è per questo che vi rendo consapevoli del fatto che esistono degli ambienti che è meglio non frequentare in quanto ricettacolo per questi sotterfugi.
La ricerca del record ad ogni costo e la visibilità mediatica spinta a livelli degradanti sono i campanelli d’allarme che dovrebbero far riflettere attentamente il vero appassionato che deve essere mosso da ideali ben più nobili e coerenti.
Gli eventi e le iniziative, incluse le “gare” sociali, possono essere un utile trampolino per provare e appassionarsi anche al settore agonistico che ha grande riscontro fra tanti giovani.
In questo libro non tratto l’argomento specifico perché lo ritengo avanzato e di conseguenza vi rimando alla lettura del capitolo specifico di Carpfishing ambienti e strategie, ricordandovi però che nell’agonismo sono l’allenamento e la pratica a fare la differenza, ed è quindi impossibile pensare di affrontare un campo gara solo informandosi a livello superficiale.
Termino questo capitolo accennando anche alla sicurezza personale che ritengo sia argomento d’interesse.
Frequentare in solitaria un corso d’acqua richiede una certa attenzione in termini d’incolumità ed è quindi importante comunicare sempre la nostra posizione a famigliari e amici e avere con sé un piccolo kit di pronto soccorso rifornito anche di prodotti con cui alleviare il dolore di una puntura d’insetto e con cui disinfettare e mettere in sicurezza un taglio o abrasione.
L’utilizzo del natante è tema avanzato che comunque merita delle considerazioni. Io sono finito in acqua due volte nella mia carriera, entrambi i casi accidentali sono da imputarsi all’uso di barche troppo piccole e insicure.
Per mia fortuna, pur se giovane e incosciente, indossavo un giubbotto di sicurezza che mi ha permesso di poter essere qui a scrivere queste righe con il sorriso sulle labbra.
Per questo motivo suggerisco che il primo attrezzo specialistico da acquistare dopo l’imbarcazione sia il giubbotto di salvataggio che funziona SOLO se indossato ogni volta che si sale a bordo.
L’ultimo pensiero che vi rivolgo e che condivido con voi riguarda la possibilità che la passione vi prenda troppo la mano rischiando di farvi perdere di vista la vita reale con le sue gioie e problematiche. A me è successo ed ho compromesso una famiglia per questo. Fuggivo dallo stress e dai miei demoni rifugiandomi nella natura cercando di isolarmi più possibile da tutto e da tutti.
Sono rimasto decine di giorni da solo in riva a laghi selvaggi senza contatti diretti, pensando solo a mangiare, pescare e dormire. Questo non mi ha salvato, semplicemente mi alleggeriva il carico sulle spalle permettendomi di dimenticare.
Se avessi trovato il giusto equilibrio starei ancora pescando mentre invece mi sono fatto prendere la mano fino a dover abbandonare, complice anche l’esposizione mediatica e l’ambiente intorno a me che era divenuto tossico. Chiudo quindi questo mio ultimo scritto, che spero abbia diffusione capillare e che possa essere apprezzato e condiviso, con l’augurio di diventare appassionati di carpfishing appagati e consapevoli e non dei “malati” succubi di un passatempo che nasce per essere riflessivo e spensierato allo stesso tempo.
Dei pescatori moderni che cercano le carpe con lo stesso spirito dei pionieri ma con una visione più evoluta.
Alcuni uomini si perdono dinnanzi alle masse d’acqua.
Sognano segreti eternamente rimasti nascosti.
Una piccola parte di questi diverrà pescatore
ed il segreto assumerà le sembianze del grosso pesce
che vale una vita!
Noi siamo esploratori che cercano nell’ignoto
le risposte che l’anima non riesce a dare.
Cosi la passione scorre nelle vene come il fiume a cui siamo legati dal costante parallelo.
E viviamo un oblio che ci permette di vedere il bello dove altri vedrebbero solo acqua ferma.
Noi siamo pescatori e la passione ci offre una ragione di vita che contrasta il brutto che ci circonda.
Riusciamo così a sopravvivere immersi nei nostri sogni.
Sergio Tomasella