…Quella domenica mattina mi ritrovai con le gambe che tremavano e dovetti sedermi sulla sponda, sopra la terra umida, mentre tutto era ricoperto di brina. Con un piede bloccavo il collo della rete sul fondo, nell’ acqua fresca, dove giaceva il mio tesoro…I miei occhi si gonfiarono di lacrime ognuna delle quali conteneva una fotografia di un momento, li chiusi per riuscire a trattenerle e nel buio vidi la luce della strada che mi aveva guidato lì, in quel momento…
Era cominciato tutto durante quella indimenticabile sessione al lago Goldmere in Sudafrica. Era andata magnificamente bene, avevamo catturato una notevole quantità di esemplari molti dei quali dal peso ragguardevole. Tutti noi ci eravamo accorti che almeno la metà delle prede era fuoriuscita da uno spot in particolare: una marcata depressione del fondo che portava la profondità del lago, che mediamente si aggirava da 1,5 a 2mt, fino a 3.5mt di profondità. La differenza era circoscritta all’interno di un diametro di una quindicina di metri, creando una buca dalla classica forma di catino. Era la prima volta che incontravo uno spot tanto caratterizzato quanto prolifico. Un po’ di fortuna, un bel gioco d’equipe misto ad un pizzico d’ingegno, fecero poi il resto, facendomi annoverare alla lista degli angler che con una cattura aveva superato la magica (oramai solo in Inghilterra, sigh!!) soglia delle 40lb in quel lago.
Pensavo che al mio rientro in Italia (per altro molto faticoso) sarebbe stato difficile ritrovare tutti quegli stimoli necessari per rimettermi a pescare in modo continuo e proficuo, e scelsi di concedermi qualche pescata senza alcuna pretesa se non quella di essere accompagnato dai soliti pochi e fidati amici. Nel frattempo era stato molto più duro ritrovare gli stimoli anche solo per lavorare! Evidentemente il “ mal d’Africa” mi aveva colto in maniera anche abbastanza grave…
In effetti mi ci vollero un paio di mesi nei quali non nego di essermi oltremodo molto divertito, durante i quali ritrovai la determinata voglia di affrontare qualche sessione un po' più impegnativa. Quando parlo di giusta voglia di pescare, intendo quella smania che prende la pancia, il torace e la testa!
Quella che ti fa brillare l’occhio come fosse quello di una tigre in attesa di un agguato, mentre da un canino scende scintillante una goccia di saliva … Questa per me è la vera voglia di pescare, questi sono i sintomi inequivocabili di sopravvenuti nuovi stimoli, e stai sicuro che se ce li hai, anche se piove, nevica, tira vento, fa freddo, sei stanco e non si prende un tubo…Tu, sarai lì! Poi si vedrà…!
Le ultime stagioni durante le quali avevo iniziato ad imparare ad affrontare seriamente la pesca in fiume, mi avevano lasciato addosso un buon ricordo oltre a quella voglia di riuscire a fare qualcosa in più, di concreto, ottenuto per altre strade, con altre soluzioni, con un altro approccio.
L’idea era di una logica disarmante: scegliere il posto migliore lungo il tratto di fiume appena fuori casa, tenendo conto di alcuni aspetti che ritenevo irrinunciabili, primo su tutti le conformazione del fondale. Nulla di veramente complicato, dovevo solo trovare una bella buca!
Volevo rendermi conto se potesse essere stata ancora una volta determinante, come lo era stata in Africa. C’era del lavoro da fare; ma cosa volete che sia scandagliare cinque km di fiume per chi, come me, è abituato a lavorare in ginocchio ed alla vita del cantiere edile. E comunque ho sempre pensato che fosse sempre meglio un brutto giorno dedicato alla pesca che una bellissima giornata di lavoro! Non ci volle molto per gonfiare il sicuro gommone Pirelli 300, avvitare al supporto il fido Suzuky da 6.5cv e fissare la ventosa del sonar nella parte più liscia della chiglia, per avere in cambio delle immagini nitide a 320 pixel di quello che si trovava sotto di me.
Passai palmo a palmo il tratto che mi ero prefissato, alla velocità minima, la prima volta lasciandomi trasportare dalla corrente, poi dando un po’ di gas in risalita facendo ritorno. E fu proprio mentre rientravo che i miei pensieri cominciarono a ripassare quello che la ricerca aveva messo in luce: ritenevo che almeno 5 spot potessero entrare in nomination per la scelta finale, tutti possedevano la caratteristica principale richiesta, ossia una marcata variazione del livello di fondo. Mi trovavo a scegliere tra le cinque buche che avevo scoperto e che erano, per conformazione, ognuna diversa e più interessante dell’altra. La scelta sarebbe potuta sembrare semplice, bastava scegliere la più bella, quella che ispirava più fiducia ma sarebbe stato un errore!
Quando si opera una scelta, di qualsiasi natura essa sia, è una buona norma inserire degli standard qualitativi ai quali la scelta dovrà rispondere; passato il primo e più importante vaglio, si dovranno far entrare in gioco altri parametri, minori, ma ugualmente importanti. Avevo bene in mente quelli che dovevo attuare nel mio caso e sapevo anche che sarebbe stato doloroso, ma ero sicuro che l’occhio della tigre mi sarebbe venuto in aiuto...
Il parametro più importante era l'ubicazione del posto in quanto il settore sarebbe stato determinante se sottoposto a pressione di pesca di altri carpisti, fattore non trascurabile perchè in tali zone le carpe vivono da tempo in concentrazione maggiore, abituate (non ancora assuefatte) alle esche dei pescatori. A tale fattore sono direttamente collegate comodità e raggiungibilità che sono essenziali per determinare una scelta accurata e sensata, in quanto rappresentano la chiave d’accesso per la possibilità di esercitare una pasturazione mirata e protratta nel tempo.
Avevo chiaro in mente che più mi sarei allontanato dall’ “ammucchiata”e più, ovviamente, sarei stato tranquillo, avrei potuto pasturare regolarmente, riducendo non di poco il rischio di trovare a pesca qualcun altro, al posto mio. Sapevo anche che più mi sarei allontanato dalle “zone calde” e più sarebbe stato arduo abituare il pesce alle mie esche e alle mie pasturazioni. Avrei valutato attentamente il rischio…Ultimo esame al quale il mio nuovo posto di pesca doveva far fronte era la natura del fondo. Fu così che in uno dei giorni seguenti mi recai dal primo dei candidati, ossia lo spot nel quale avevo intravisto le possibilità di poter rispondere a tutti i requisiti richiesti. Avevo infatti notato che il posto in esame era situato, in uscita, sulla riva corta di un ampio e marcato curvone e che lungo la sponda opposta era stata issata una fitta palizzata, per far fronte ai problemi dovuti all’erosione della corrente, mentre un’altra paratia costituita da grossi pali di abete era stata inserita sulla sponda dove mi trovavo a partire dall’altezza dell’inizio della buca, che si trovava proprio in uscita della curva, fino a 50 mt più a valle nel punto di battuta dell'acqua dopo che essa aveva rimbalzato sulla sponda opposta, creando un rigiro a cui mancava solo la parola.
La presenza di paratie in legno era sempre stato un segnale premonitore di positività che se aggiunto alla presenza nel sotto sponda di una fitta sassaia composta da ciottoli di buone dimensioni, la quale si protraeva per qualche metro verso il centro per poi inabissarsi con la stessa pendenza del gradino, era proprio di buon auspicio. A questo dovevo tener conto di aggiungere la presenza dell’attraversamento della linea del metanodotto, un’opera svolta a metà degli anni ’80, in ragione, della quale era comparsa la grande depressione del fondo che la mia ricerca aveva messo in luce. In buona sostanza avevo davanti un alveo che dai 4.5 mt di profondità media saliva in maniera alquanto disomogenea e rapida sino a 3.5mt, per poi altrettanto disordinatamente scendere a 7.5 mt nel punto più profondo del catino, il quale si presentava con un diametro non circolare di 10/12 mt. , nel punto più largo, risalendo sino ai 4.5mt che riportavano tutto alla più monotona normalità per oltre un km di corso. Il morbido lancio del pesante piombo, oltre a confermare l’ottima scelta in fatto di canne, mi diede la possibilità di udire un tonfo che non fece altro che stabilire di quale profondità mi mettevo al cospetto…Lasciai libero un po’ di filo che prontamente misi in tensione, attendendo l’ eventuale impatto…TUNF!
Fu il ritorno secco, nitidamente trasmesso dalla treccia, a confermare che il piombo aveva impattato su una dura superficie compatta, proprio quello che volevo!! I lanci che seguirono e le conseguenti “strisciate” confermarono che avevo di fronte un fondale solido, prevalentemente argilloso, cosparso a macchia di leopardo da chiazze di ciottoli, della stessa origine di quelli che si potevano notare nel sotto riva. La parte a valle del catino era cosparsa di detriti di varia natura, soprattutto di origine vegetale, in particolare rami, mentre il sotto sponda lasciava scorgere a tratti lunghe e sinuose code d’erbe, che facevano da nascondiglio a piccoli animaletti pieni di vita…
Non avrei più avuto dubbi! Sarebbe stato quello il mio nuovo posto di pesca per qualche stagione a venire. Il sigillo alla mia convinzione venne dato dal fatto che mi trovavo a circa 10 minuti dal parcheggio più vicino, questo fattore oltre a essere determinante per gli aspetti dei quali si disquisiva, lo è per il mio modo di essere: un modesto ex ciclista, un mediocre pescatore in fuga, un uomo che, come tanti sogna di essere solo al comando! Sapevo che mi avrebbero fatto male gambe, le braccia e la schiena, immaginavo che qualche mattino presto il fiato non sarebbe bastato. Prevedevo che quei 700 passi non sarebbero stati infiniti sotto la pioggia, ma fui ugualmente consapevole, determinato e sufficientemente lucido nella scelta, come ero consapevole che la sofferenza mi avrebbe reso migliore. Avevo già avuto modo di rendermi conto di quanto il sacrificio possa rendere tutto così difficile e vero. Ero convinto che il nostro miglioramento passi sempre attraverso la sofferenza, di qualsiasi natura essa sia…Ma ero proprio così convinto che l’occhio della tigre avrebbe continuato a brillare? Se vi interessa la storia, appuntamento alla prossima puntata!