BOILIE:
IL GIORNO DELLA RIVELAZIONE
Il vecchio comune credo popolare, tende a relegare la boilie a comprimaria di second’ordine.
La situazione, però, nel corso di questi anni è fortemente mutata, modificando radicalmente il rapporto carpe-boilie. Da che parte pende l’ago della bilancia?
Il tempo è passato ed io non me ne sono neppure accorto. I miei figli sono grandi, oramai. Il primogenito, nato proprio nell’anno nel quale ho iniziato a praticare con dedizione questa tecnica, oramai ha sedici anni e oggi mi accompagna nelle mie uscite. Non poteva aiutarmi però, il giorno nel quale, per la prima volta, portai a casa i primi prodotti per fare quelle che in una tale rivista avevo letto chiamarsi boilies. In totale presi degli aromi, alcuni liquidi dallo strano e forte sentore di medicina e nulla più. Erano prodotti di una ditta francese, importata di fresco dall’allora appena nata Tecnicarp, la Capegeni. La mia ricetta prevedeva la soia, il semolino e crocchette secche per cani macinate. Fu così che riuscii a bruciare il mio primo frullatore…La ricetta era un frutto colto a piene mani dal primo trattato italiano in merito alla nostra tecnica. Iniziai a catturare le prime carpe e comunque a non capire che il mio buon lavoro sarebbe stata l’arma vincente. Fu la prima e unica volta che mia moglie aprì le porte della “sua” cucina. Fui relegato subito dopo nel buio di un freddo ed umido garage a scontare la pena per una mia malattia della quale sapevo non avere colpe. Cosa non si sopporta per il carpfishing! Questa prima fase era accompagnata da un continuo ribollire di novità. Boilies miracolose, rese tali dalla mia scarsa attitudine ed esperienza nel riconoscere la bontà tra i diversi prodotti. Ho creduto che quelle palline confezionate in Inghilterra fossero da preferire al mio umile lavoro casereccio, così diventai ben presto un ready- made dipendente al punto tale che avevo inneschi composti di sole boilies acquistate in negozio, mentre preparavo le mie esche in casa e le usavo solo per pastura! (cosa vuol dire non credere ai propri mezzi!) Il periodo, nella sua globalità, mi dava ragione. Fondamentalmente ciò era dovuto alla pochissima pressione, nonché i rari confronti con altri colleghi, che mi facevano credere che la strada presa fosse quella giusta. Ben presto però, su molteplici fronti, primo su tutti quello dell’esca, arrivarono i primi stop. Molte domande con almeno il doppio delle risposte, tutte plausibili, ma nessuna che potesse dare una soluzione rapida e definitiva. Ma un giorno ebbi “la rivelazione” (che allora non seppi cogliere). Ero a pesca nella mia cava preferita, in un periodo che iniziava ad altalenare giornate buone da quelle nelle quali ti pentivi di esser lì. (Beh, quello era un giorno nel quale ero pentito) La mia azione si protraeva sin dalle prime luci dell’alba, e si stava avvicinando oramai l’ora di pranzo. Non molto distante da me vi era un collega che conoscevo perché abitava nel mio stesso paese, così vista anche la scarsa attività della giornata e le poche promesse sul futuro della stessa, decisi di andare a fare due chiacchiere. Tra le altre cose Franco, così si chiamava il compaesano, mi diede in mano due boilies. Odoravano spiccatamente di un gradevolissimo ed appetibile profumo di cioccolato, e mi invitò ad assaggiarle, mentre lui faceva lo stesso. Il gusto era davvero speciale, sapevano di nocciola. Non era la prima volta che assaggiavo un’esca da carpe e mai avrei potuto immaginare potesse essere così buona! La cosa non mi lasciava del tutto indifferente! Anzi, per dirla tutta, mi preoccupava un po’! Quelle palline assomigliavano più a dei dolcetti che ad un’esca. Non sarebbero state facili da replicare. Feci i complimenti per l’opera di manifattura a Franco e ritornai alla mia postazione con quelle due palline ancora in mano, graffiate dall’assaggio dei miei incisivi. Per nulla al mondo le avrei abbandonate. Le volevo innescare! Ritrassi la prima canna e sostituii l’innesco, poi rilanciai nello stesso metro quadrato d’acqua. Feci in tempo a recuperare la seconda, che quella precedente ebbe, dopo un violento sussulto, un’allegra partenza. Misi in secco un pesce discreto e lanciai le mie due canne con le boilies al cioccolato di Franco, precisamente negli stessi spots che sino ad allora mi avevano portato al cappotto. La storia si concluse (per sopraggiunto ed inesorabile termine delle esche) soltanto un’ora dopo, con quattro carpe fotografate. Era forse Franco il nuovo mago delle esche del Nord Est? Aveva forse, capito qualcosa? Un fatto certo e provato è che Franco sia stato tra i primi (forse in Italia, si sicuro nel Nord-Est) ad andare a far la spesa da Gianpierre, in Belgio…! Non lo so, ma so che da quel giorno ogni volta che lo vedo, collego la particolare somiglianza del suo aspetto fisico e delle sue movenze, al maestro Rod Hutchinson … E mi torna in mente tutta questa storia! Forse l’esca aveva fatto la differenza? Forse la boilie, da sola, aveva indotto le carpe a mangiarla? Ed io, stupido! Non ho capito.
Convinto e accecato com’ ero, da chi professava che la carpa mangia per fame, mangia di tutto! Altri mille lampanti fatti analoghi, varrebbero la pena di essere narrati. Rivelazioni, che in particolari situazioni (neanche tanto particolari) hanno davvero fatto la differenza. Battute di pesca risolte magicamente, solo cambiando la pallina sull’hair rig. Volendo escludere da questa lista, tutti gli avvenimenti quantomeno dubbi, di fatti eclatanti ne rimangono comunque molti. Prove lampanti e se vogliamo credere, inconfutabili, di quanto l’esca possa essere una delle poche alternative immediate e valide a nostra disposizione. I fatti a cui faccio riferimento sono molto simili a quello da me descritto, esche posate nello stesso punto che fino a quel momento nulla aveva prodotto e…subito prese in considerazione! Dire che quando la carpa mangia per fame, mangia di tutto indistintamente, può esser corretto, ma fino ad un certo punto. Questo dato di fatto si rivela in molti casi fuorviante. Infatti tale affermazione non risulta completamente corretta quando vogliamo analizzare sotto altri punti di vista questo aspetto. Il pesce è anche spinto a cibarsi per curiosità, o meglio si ciba anche in periodi dove non sia una fame cieca a muoverlo. I momenti nei quali le carpe mangiano per fame sono per altro ben definiti e delimitati a poche ore nel corso di particolari condizioni, quali ad esempio temperatura e ossigeno in acqua, condizioni meteo tipo pioggia, sbalzi termici e quant’altro; sono da associare ai cosiddetti momenti magici per la pesca e poco hanno a che vedere con particolari raffinatezze in fatto di esche o risoluzioni tecniche sopraffine. Con questo non voglio dire che la qualità delle nostre scelte possa mai essere messa fuori fuoco, anzi è proprio in questi frangenti dai quali sarà possibile leggere l’indicatore su quanto bene noi stiamo lavorando. Risulta comunque facilitata la cattura in particolari condizioni. Questa intro mi permette di spiegare quelle che sono tutt’altre situazioni. Per la verità, l’opposto sarebbe una situazione di totale apatia ed inattività, dalla quale è forse meglio desistere dal provare con i nostri attacchi. Esiste però tutto un giardinetto da coltivare, condizioni nelle quali a fare la differenza è proprio la sapiente opera del self-maker. Molti vorrebbero nascondere e insabbiare questo fatto, questo servirebbe a coprire una loro incapacità di adattamento alle situazioni più difficili e di conseguenza una scarsa abilità nell’applicare soluzioni elaborate, in grado di cambiare lo status. Le condizioni critiche sono esponenzialmente aumentate con il passar del tempo e il conseguente incremento dei carpisti ha portato allo stato attuale, nel quale un’esca di buona fattura può fare la differenza. Le situazioni alle quali faccio riferimento sono molto più estese di quanto siamo portati normalmente a pensare. Le carpe di molti luoghi hanno sviluppato la propensione alla selettività verso fonti non troppo attendibili di cibo gratuito (per es. estensioni sterminate di giacimenti di mais e granaglie in genere, in primis). Non dimentichiamo che fino a non più di 12/15 anni fa, ossia dopo l’avvento del carpfishing in Italia, le stesse carpe non sono mai morte per denutrizione (magari sono morte per stress e cattiva gestione post cattura da parte di qualche carpista della prima ora, con poca preparazione e coscienza ) e hanno sempre raggiunto pesi ragguardevoli in egual maniera (forse solo in tempistiche diverse, dovute ad una più aspra competizione alimentare e da un diverso apporto nutritivo, dato dalla sola dieta naturale…). Arriviamo facilmente a dedurre che questi pesci si siano trovati nella facile condizione di potersi rimpinzare (mai termine fu più adatto) a costo zero. Questa situazione protratta negli anni sta mutando il modo di nutrirsi nelle carpe. L’abbondante, nonché variegata presenza di cibo, ha sedato l’appetito ed ha portato i pesci ad essere “schizzinosi” e di conseguenza molto selettivi, nei confronti di pasturazioni dalla dubbia fattura. Quando si parla di carpe “intelligenti” o “educate” ci si riferisce proprio alla spiccata capacità delle stesse di saper scegliere le fonti di cibo che per qualità corrispondano al loro reale fabbisogno. Questo traguardo va perseguito costantemente, attraverso l’assoluta purezza delle materie prime che portano inevitabilmente a migliorare gusto e nutritività, e spesso queste due cose vanno a braccetto.