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L'attimo fuggente, seconda parte

L’ATTIMO FUGGENTE

di stefano Forcolin

seconda parte

 

 

Stiamo percorrendo una serie di tappe  che ci porteranno a far luce sui dubbi che affliggono molti appassionati in materia di terminali. Abbiamo analizzato le fonti e la storia che ci hanno portato fino a questo secondo appuntamento dove vediamo gli aspetti base che ci formeranno per continuare questo cammino…

 

Come e dove si alimenta la carpa?

 

 La carpa è un pesce grufolatore che preferisce alimentarsi sul fondo dove aspira e sputa in continuazione, durante la fase di alimentazione. La particolare forma retrattile della bocca serve a questo particolare scopo e funziona quasi come una specie di piccolo aspirapolvere intermittente, che alterna fasi di aspirazione a tratti di compressione. Nell’atto dell’aspirare, il pesce trattiene le sostanze ritenute idonee al suo fabbisogno alimentare, per passarle poi, nella fase successiva, ai retrostanti denti faringei. Tutto quello che accidentalmente, specie su fondali sporchi o di natura particolarmente “leggera”, le entra nella cavità orale ed è ritenuto inservibile, viene automaticamente risputato. Questa è una condizione che, a conti fatti, rientra nella casistica più numerosa ed è la modalità sulla quale sono stati compiuti molti degli sforzi nello studio delle montature. Ma vi sono anche i casi nei quali la carpa si nutre in fondali completamente levigati e puliti, oppure mentre si alimenta a mezz’acqua, in mezzo ad un erbaio, oppure in superficie. Potremo affermare che la carpa non si ferma davanti a nessun ostacolo pur di arrivare ad impadronirsi di qualsiasi fonte nutrizionale si possa trovare sul suo percorso! Le modalità rimarranno pressoché invariate, ovvero vi sarà sempre un ingurgito per aspirazione seguito da una fase di soffio atto all’espulsione. Questi soffi saranno più violenti su fondali sporchi di limo, oppure ricoperti di ghiaino fine, sabbia, fango ecc.ecc.  In condizioni ottimali, su fondali completamente duri e puliti da qualsiasi forma di detrito (per es. zona a forte corrente in fiume, ma anche plateau d’argilla o pietra in lago) la carpa non sarà costretta a sputare, lo farà con parsimonia e solo all’evenienza. La carpa spesso adopera una serie di aspirazioni-espulsioni anche per assaggiare o conoscere cibo dalla dubbia natura, molto spesso anche le nostre boilies vengono sottoposte a questa sorta di degustazione di prova. Anche per questo motivo la qualità, oltre e soprattutto al gusto di queste ultime, risulta fondamentale e determinante ai fini di una probabile allamata. Ma questo probabilmente è un altro tipo di discorso.

 

Teorie di base

 

I montaggi da carpa hanno bisogno per essere costruiti con cognizione di causa, di seguire un iter istruttorio, fatto di quesiti e basato su concetti chiari, quanto condivisi dalla quasi totalità dei grandi pescatori di carpe.

Il percorso prevede innanzitutto lo studio del fondale e la pressione di pesca oltre i quali verranno applicati i concetti di base quali le teorie anti-espulsione, quelle che tengono conto della  rotazione dell’amo e in definitiva del potere autoferrante in un montaggio. Lo studio del fondale ci permetterà di selezionare i materiali più adatti e farli lavorare correttamente, in base alle varie tipologie di supporto, tenendo conto anche degli aspetti legati al fattore mimetismo e di looping. L’approfondimento circa la pressione di pesca, oltre ad a obbligarci ad ottimizzare le qualità anti-eject della nostra montatura, ci farà attuare e se possibile affinare sistemi (Blow-Out di Kevin Nash in primis) che prevengano reazioni di contrasto, tipiche di pesce sotto pressione e di conseguenza “educato”. A questo punto dobbiamo analizzare i concetti per i quali tanti pescatori pensanti si sono dati  anima e corpo. Quasi tutto quello che è derivato da questi studi è frutto della terra d’Albione e a loro,  in questo senso, dobbiamo tanto. Questi pescatori invaghiti da questi aspetti, hanno pensato giorno e notte per anni a come migliorare, e alla fine sono approdati a soluzioni in grado di mettere d’accordo un po’ tutti, oltre che permettere ed incrementare risultati a volte in maniera sorprendente. Cercherò di spiegare con mie parole sforzandomi di essere quanto più chiaro possibile, anche se mi rendo conto che, per chi ha ancora poca dimestichezza con questi aspetti, sia difficile immaginare ed interpretare correttamente  alcuni passaggi. Sembrerà strano ( in realtà non lo è affatto) ma il primo concetto ad approdare sulle pagine delle nostre riviste era proprio quello riguardante l’anti-espulsione dell’esca. Gli Inglesi avevano studiato il modo di alimentarsi delle carpe e di conseguenza si erano subito accorti che il primo grande scoglio da superare si ergeva davanti al fatto che la carpa sputava con troppa facilità i loro inneschi. Le carpe aspiravano e nell’espellere la boilie, capitava che troppe volte riuscivano a sputare anche l’amo. In verità vi è da dire che in quel periodo la boilie veniva attaccata tramite il capello alla curvatura dell’amo. Non vi sarà difficile comprendere che in quella posizione per la boilie, sottoposta ad una spinta, era naturale trascinarsi dietro l’amo in posizione che agevolava in tutto e per tutto la sua uscita, senza avere alcuna chance per potersi “appuntare” contro la parete della bocca del pesce. Nei passi successivi ci si è accorti che spostando il punto d’uscita dell’hair rig in un punto compreso sull’asse  tra punta ed ardiglione, si giungeva ad un buon compromesso che garantiva una discreta mobilità, tale da restituire all’amo un potere ferrante al momento della sua espulsione. Questi studi miglioravano, e non poco, lo status ma ci si rendeva conto che i pesci riuscivano ancora a sputare gli inneschi con un rateo ancora troppo elevato per continuare imperterriti su questa strada. Furono  momenti di splendore per gli anellini scorrevoli posti sul gambo dell’amo, oppure perfettamente inseriti nel contesto dei più famosi D-rig. La teoria di dare mobilità al capello era corretta perché spostava di fatto il punto d’uscita dell’hair all’evenienza, questo succedeva indistintamente sia per motivi di aspirazione e tanto più per quelli d’ espulsione,  dal classico punto prossimo alla curvatura in fase di assaggio, al punto posto vicino all’occhiello, qual’ora la carpa avesse sputato l’esca. I risultati presero quota. La carpa sputava la boilie e questa scorreva verso l’esterno e lasciava l’amo libero di agire. Questa soluzione portò risultati  mai sperati prima e fu un evidente passo in avanti per le tecniche di cattura dei grossi ciprinidi. Essa non garantiva però una percentuale sufficiente che potesse soddisfare i thinking angler dell’epoca. Gli studi proseguirono e sulla base dei concetti rivolti all’uso dei Bent-hook , che tante catture avevano garantito, assieme ad altrettanti danni inflitti alle bocche delle povere e sfortunate  carpe, tanto da farne bandire l’uso tassativamente da tutte le più famose fisheries Inglesi. In molti hanno rincorso l’idea di poter replicare i concetti del bent, il quale racchiudeva in sé i più assoluti poteri auto-ferranti. Girava sul suo asse in maniera sublime ma contrariamente alle leggi etiche, continuava a girare e a muoversi in maniera aggressiva ed incontrollata anche una volta allamato il pesce, tanto da riuscire, a volte, a cucire la bocca più volte al povero sciagurato animale.

 

L’illuminazione

 

Qualcuno riuscì a replicare gli effetti del bent eliminandone totalmente quelli negativi. Quel qualcuno tenne per sé questa scoperta che per  anni rimase un segreto di pochi. Questa  replica geniale si chiama Line-Aligner ed è, a mio avviso, dopo il capello di Middleton-Maddocks, la scoperta più sensazionale nell’era del moderno carpfishing. Quel “qualcuno” risponde al nome di Gim Gibbinson.

Nel corso di questi anni sono state attuate altre varianti al tema, sicuramente di più semplice realizzazione, passando dal no-knot  ai tubini termorestringenti. Un appunto tecnico che ci può facilitare nella scelta tra i vari materiali che vengono usati per agevolare la rotazione dell’amo, è capire prima di tutto di che amo abbiamo bisogno, e sulla base di tale scelta opteremo per un materiale anziché un altro. Nella maggioranza dei casi la scelta di un amo standard come filo e peso, ci apre una vetrina molto ampia nella quale avremo possibilità di scegliere tra il classico ed affidabilissimo Line-Aligner, oppure il semplice quanto funzionale No-Knot che però sembra perdere terreno in acque a forte pressione. Avremo anche a disposizione la miriade di tubetti e guaine sia temorestringenti che non, che rendono l’amo molto ”aggressivo” e quindi la scelta di questi materiali “rigidi” è più appropriata se abbinata ad ami di grande misura, dal filo grosso e peso consistente. Il punto in comune a tutte queste soluzioni è focalizzato nel fatto che l’uscita del filo, posta  alla base della legatura all’amo, sull’occhiello, sarà sempre rivolta verso l’interno di esso, ossia verso la sua punta. Questa regola fa in modo che l’amo sottoposto a minima trazione ruoti con la punta verso il basso. Stesso dicasi per le guaine termoretraibili le quali andranno piegate sempre verso l’interno della curvatura.  Tutto ciò porta ad una irreversibile rotazione dell’amo, sottoposto a trazione, per cui la punta si rivolgerà in basso, in posizione efficace, tale da rendere possibile un perfetto aggancio sul labbro inferiore. Ora lasciamo a questi concetti il tempo di posizionarsi ordinatamente tra i nostri pensieri, saremo pronti al prossimo appuntamento…Il momento è d’oro, andiamo a pesca!