MEA CULPA
A volte capitano cose inspiegabili, sessioni di pesca che nascono sotto una cattiva stella nelle quali tutto va storto. Spesso siamo abituati ad addossare le colpe alla solita sfortuna, ma non è sempre così…L’autore cerca di analizzare i fatti con la dovuta lucidità ed obiettiva autoanalisi, cercando di dare un giudizio basato su prove concrete di quanto sia potuto accadere in realtà.
Era finita!
Terminata una settimana di vacanze a pesca pianificata per mesi, sognata, voluta, agognata e ora era davvero finita.
Stop a tutte le speranze di rivalsa durate sino all’ultimo istante, quando in acqua era rimasta solo l’ultima canna. Tutto finito! Duro da ammettere, difficile da mandar giù, non volevo rendermene conto ma dentro di me qualcosa si era rotto…
E non era la prima volta che mi sentivo a pezzi, l’ultimo amo usciva dal grande lago e dietro di lui uscivano in fila, lentamente e a testa bassa, tutti i sogni coltivati da mille certezze e da altrettante sicurezze che ora crollavano dentro di me come un castello di carte. Porca miseria! La solita sfortuna, quel buona pesca di troppo! Certo! La colpa è di quella maledetta sorte!
Mi chiusi dentro alla macchina già carica delle mie attrezzature e misi un cd di Battisti e alzai il volume. Da lì potevo ammirare un ampio scorcio di lago illuminato da un meraviglioso sole di un caldo fine Settembre. Mi vedevo ancora seduto al tavolino ed iniziavo già a immaginare le cose che avrei potuto fare, quello che non ho fatto. Nelle note del compianto cantautore c’erano i miei pensieri rivolti ai miei tre grandi amori, la mia famiglia, che avrei rivisto di lì a poche ore. Nei miei occhi si riflettevano i verdi e gli azzurri più belli che facevano da contorno ad un misto di sensazioni difficili da esternare, ma che puntualmente mi pervadono in momenti particolari. Mi stavo ricaricando, quella musica, il lago, e l’imminente ritorno verso casa, mi avevano messo sulla giusta sintonia per poter captare un perfetto filo logico che potesse ordinatamente cucire le trame del disastro che sapevo avere combinato. Cercavo qualcosa che potesse ridonarmi un minimo di pace interiore. Che drastico! Direte voi, così bravi da non avere mai avuto il dispiacere di sentire cosa si prova a perdere tre pesci su sei!
Fu così che, cullato dalle note e dal quel veloce rollio delle ruote sull’asfalto, dalle lunghe e serpeggianti curve e i dolci cambi di pendenza, dai chiari-scuri delle gallerie, iniziò a prendere forma una lucida e spassionata analisi sui miei possibili errori.
Erano da pochi minuti passate le quattro, a pochi metri dal pontiletto, sul fondo, a quattro metri di profondità, una carpa stava gustando avidamente delle grosse palline del trenta di uno squisito birdfish, aromatizzato fragola. Inavvertitamente urtò col muso il piombo, innescando un singolo segnale sonoro, che venne ripetuto istantaneamente dalla ricevente sul tavolo a pochi centimetri da me. Scattai subito seduto sul lettino, nell’ attesa spasmodica di possibili sviluppi….Niente! Mi coricai di nuovo, con ancora il cuore che mi invadeva il petto e che sapevo già non permettermi un subitaneo intorpidimento, tale da farmi cadere nuovamente tra le braccia di Morfeo. Dopo dieci minuti ancora un bip, poi un altro, un altro ancora, sempre più frequenti e ravvicinati tanto da trasformare il semplice fischio in un fragoroso richiamo frastornante che calamitava la mia mente in una corsa affannosa attraverso lo stretto molo, incontro a due occhi gialli spalancati a dare luce all’intimità notturna di quel lago sornione. L’inconfutabile conferma che tutto stava davvero per accadere: la bobina che gira! Stupendo!
Nel più splendido e naturale degli automatismi bestiali della nostra passione, canna in mano, due giri di manovella, e….Sù!
Tutti i muscoli del corpo pronti a contrastare o assecondare i movimenti imprevedibili del pesce, a cercare da subito di comprenderne dimensioni ed intenzioni, la sfida ha inizio! Invece? Invece niente! La manovella gira a vuoto, come il vuoto che mi si insinua nel petto fino a rovesciarmi lo stomaco, mentre su di me piombano inarrestabili e pesanti sensi di colpa misti a sbigottimento ed incredulità. Tengo in mano l’innesco, l’unico responsabile. Lo guardo come si guarda il peggiore dei traditori in tempo di guerra e mi verrebbe da lanciare via tutto, fare della canna un giavellotto… Mi sembra tutto quanto in regola, poi l’orario e la temperatura mettono fine alla mia seppur breve inquisizione. Che cosa era accaduto? Durante le fasi di calo dell’esca, la punta dell’amo aveva colpito inavvertitamente il bordo della panca della barca in alluminio. Non diedi il giusto peso all’accaduto che ricordavo bene esser successo. Il mattino seguente l’analisi dell’incriminato mi sbatté in faccia la dura realtà della grande omissione da me commessa! Quell’amo era in condizioni tali da non penetrare neppure un pesce finto in gommapiuma! Se avessi avuto il super amo o se avessi recuperato i terminali con la barca e ricalati di conseguenza, innescandoli direttamente e comodamente in natante come fa Gianluca….(se).
Un’altra notte significa ancora speranze da poter accarezzare un pesce. Ore 02.00, scuro silenzio, lago piatto, cielo pulito trapuntato di grandi stelle, uno squarcio tremendo mette fine all’incantesimo, un ruggito echeggia continuo nella valle, e amplifica le mie emozioni. Sono di nuovo “in punta”, sento le testate, è grossa! Viene… Ed Intanto tiro un pò. Massimoooo! Sento che dovrei saltare al più presto in barca, Massimoooo!
Sto pescando su di una sassaia molto decentrata sulla destra, potrebbe entrare con facilità nei vicini canneti. Continuo a tirare, saliamo in barca, poi tutto si blocca, tutto fermo. Il filo in tensione illuminato dalla torcia indica la direzione, poi piano una sagoma chiara si materializza davanti a noi e con lei i nostri dubbi. Ancora più vicino una barca, la corda tesa dell’ancora, non sento più nulla è tutto inchiodato! Mi avvicino e vedo due giri aggrovigliati di shock leader e l’amo conficcato nella corda! Tutto finito! Quanti errori! Fretta! Mancanza di lucidità e freddezza, la foga… Come un pivello, come se fosse la prima volta! Noooo! Se non avessi tirato e se fossimo stati più veloci con la barca! Se, se, se….Perso! Basta!
Molte volte penso che la pesca sia lo specchio del nostro animo, delle nostre condizioni psico-fisiche. Credo di non sbagliare anche perché non ho altre motivazioni per poter spiegare comportamenti così poco razionali che sfiorano istinti animaleschi e che ci fanno sbagliare! Era così semplice poter pensare che, con la barca a disposizione, e pescando lateralmente, l’ultima cosa da fare sarebbe stato tirare. Sarebbe bastata una leggerissima tensione, un piombo (meglio sasso) a perdere, legato con filo da 0.20mm, sino all’avvicinamento del pesce dopodichè sarebbe potuto iniziare il vero e proprio duello. Ma per mia grande fortuna avevo ancora una possibilità, l’ultima notte. Ore 00.00, mi ero appena messo sotto le coperte e come al solito il mio pensiero materializza una carpa che sta ingoiando una delle mie grosse esche…É un pensiero/desiderio, come un mantra silenzioso, che rivolgo ogni volta al lago prima di coricarmi quando sono a pesca, ma non mi era mai successo che funzionasse così rapidamente!
Scappo fuori, pervaso e motivato solo da un grandissimo istinto di rivalsa. E’ mia! Questa volta sei mia! I movimenti lenti e pesanti della carpa mi danno un solo lungo brivido alla schiena e mi svuotano il cervello da tutto il resto! L’animale vuole prevalere mentre una voce dentro mi dice: “stai calmo!” – “copriti e stai calmo”. È l’amico Massimo che gentilmente mi fa indossare un gilet in pile. Tutto è sotto controllo, il pesce lento sta venendo ed io mi copro, rassicurato dal mio compagno che penserà al guadino. Infilo il secondo braccio nel foro del gilet ma fatico nel farlo, riprovo 2, 3 volte…Fatto! Ma? Che succede? Sento il nylon del grosso shock leader stridere come se stesse sfregando contro un vecchio legno sommerso. Accidenti! É bloccata! Provo a esercitare un minimo di trazione. Letale! Stack! La manovella ora gira troppo leggera per non contrastare con il peso che mi sento cadere addosso! Lo 0.60 tagliato sicuramente da una cozza. Il mio attimo di esitazione nell’indossare il pile ha permesso al pesce di avvicinarsi al fondo, il piombo ha colto l’ostacolo e ha invitato il nylon ad entrarne in contatto, la cozza che era stata messa lì apposta da un disegno nefasto ha fatto tutto quanto il resto. Se fossi uscito con la barca, ancora prima di ferrare, se avessi avuto un sasso a perdere o se avessi avuto il super filo! Se, se, se…Se avessi lavorato meno, se mi fossi riposato di più, se non avessi scambiato il carpfishing per uno sport fatto di solo riposo e relax, forse questi errori non li avrei mai commessi o forse il mio più grande errore lo sto commettendo ora ed è quello di renderli pubblici!
Parlo di questo perché credo che anche ai pescatori molto più bravi di me siano capitate situazioni simili. Penso siano momenti molto comuni a tutti i carpisti “umani. É sicuramente più facile parlare dei successi, studiandoli impariamo a vincere.
Dei fallimenti è bene non parlarne mai, ma così facendo perderemo, forse, lezioni uniche. Io non ho pretese di insegnare. So che parlarne mi serve ad esorcizzare le mie stupide paure e sedare le mie oramai poche ansie. Ho capito che dovrei lavorare un po’ meno e pescare un po’ di più. Ma questo è un lungo discorso… Voi potete ancora scegliere ed io avrò sempre un’altra possibilità di riscatto con il lago ed i suoi segreti abitanti.