HAIR BREAK RIG
Di Stefano Forcolin
Oramai sono convinto circa l’esistenza di un numero sempre più esiguo di carpisti che ancora ignorano il modo in cui una carpa si nutre. Credo comunque sia sempre utile rinverdire il concetto che vuole la carpa ,un pesce come molti altri, lei grufola tra i fondali alla ricerca di nutrimento, aspirando le sostanze ritenute utili ed espellendo quelle inservibili che durante la prima fase entrano inevitabilmente nella cavità orale. In questi anni i carpisti dotati di spirito di ricerca (quelli che non si accontentano di adottare solo scoperte fatte da altri) si sono spinti ben oltre al normale studio delle proprie prede; di quei pesci hanno sezionato proprio tutto, abitudini, carattere, gusti, morfologie fisiche e comportamentali, per accorgersi che proprio queste ultime sono risultate pressochè impossibili da catalogare in quanto si tratta di comportamenti che , rubando a piene mani un titolo del mio amico Max , definirei “insoliti”. Sono sempre stato affascinato dallo studio di quei comportamenti di pesci sottoposti a forte pressione piscatoria in quanto sono il motivo dei progressi sensazionali che riguardano la nostra tecnica . Molto dipende proprio dalla morfologia del nostro ciprinide in quanto la carpa è geneticamente una specie molto sensibile ai mutamenti ambientali, soprattutto se questi sono generati da fattori di disturbo innaturali, direttamente legati alla presenza umana. Oltretutto se a queste variazioni (rumori, vibrazioni sul terreno, ombre, luci, fili tesi, pasturazioni anomale e quanto d’altro ancora…) addizioniamo uno shock derivato da una cattura, essa mette in atto tutta una serie di difese a livello istintivo e sarà molto arduo da parte degli angler, ricreare nei pesci più diffidenti, quelle condizioni ideali per una nuova cattura. Talune delle intuizioni più brillanti sono scaturite proprio da diretti studi specifici; da questi mutamenti comportamentali versi alla difesa, sono nate invenzioni come il Line-aligner di Jim Gibbinson oppure i back-lead, la stessa evoluzione delle esche è frutto indiretto di queste attente osservazioni. In quest’ottica, proprio il reparto delle montature ha subito continui progressi, per il bisogno di dover disporre sempre e comunque di nuove trappole in grado di spiazzare in ogni momento quei pesci che nel frattempo hanno già acquisito nuove difese. Questo scritto è incentrato su questa ultima analisi, focalizzando in maniera particolareggiata un comportamento che si è manifestato in modo diffuso in acque ad alta concentrazione piscatoria. Il concetto, messo ai raggi-x dai più grandi pescatori d’oltremanica , prevede che un pesce giunto in prossimità dell’inganno, aspiri la nostra esca con l’inevitabile conseguenza che il montaggio faccia inesorabilmente il proprio lavoro, ferrando il pesce , il quale a questo punto, attraverso le passate esperienze, riesce a rendersi conto di esser di fronte ad una situazione della quale conosce bene l’evolversi. La preda ha preparato una strategia di difesa che consiste ,in primis, nel non farsi prendere dal panico, rimanendosene ferma sul posto iniziando una serie di potentissimi soffi d’acqua atti a liberarsi di quel corpo estraneo (amo) che le si è conficcato sul labbro mentre lei si stava nutrendo. E’ stato più volte riscontrato che tale operazione riesce con successo, complice anche un’ allamatura superficiale come si presenta il più delle volte quella iniziale. Dobbiamo tutti prendere atto che la gestione di questa eventualità rientra nei canoni della quotidianità, per un pesce che naturalmente è abituato a nutrirsi anche (e soprattutto) in zone non completamente pulite e quindi sempre pronto a liberarsi dei detriti (anche taglienti o acuminati) che vengono aspirati assieme al cibo stesso; la natura lo ha provvisto di una difesa che è insita nella forza di aspirazione-espulsione. Per imprimere questo concetto , vi porterò a conoscenza di alcuni fatti accaduti. Per ciò che concerne la velocità di aspirazione, ho avuto modo di poter visionare un documentario, nel quale si poteva chiaramente vedere una carpa immobile , intenta a dare la caccia ad un’alborella, che avvicinatasi un po’ troppo (10 cm) alla bocca dell’animale in agguato, sparì all’istante con una velocità tale da lasciarmi esterrefatto . Per contro , la potenza con la quale un corpo può essere eiettato ( dote comune per altro ad altri pesci) non è meno incredibile, lo testimoniano i racconti di mio suocero, che catturando orate , si vedeva spesso giungere l’innesco (a base di pezzettone di verme di Rimini) anche 1,5 mt lungo la lenza , risputato da quei pesci nell’impresa di liberarsi dell’amo. Fatti puntualmente confermati lungo i canali che frequento , nel periodo di poco antecedente la frega, nel quale le carpe sembrano preferire le “grigliate” di pesce , infatti in un paio di occasioni mi è capitato di poter osservare la potenza con la quale un’ alborella veniva rigettata dalla carpa oramai avvolta dalle maglie della rete del mio guadino; una forza tale da “sparare” il povero pesciolino a circa 3 mt di distanza: incredibile! Quest’arma a sua disposizione, unita ad “alcuni punti oscuri” dei quali i nostri montaggi non sono di certo ancora del tutto esenti ( probabilmente non lo saranno mai) fanno si che il pesce riesca a liberarsi dell’appuntito incomodo senza che sulla riva il pescatore possa ravvisare alcuna situazione di allarme. Alludendo ai punti deboli della montatura mi riferisco al fatto che il piede di porco usato per scardinare l’amo è proprio il volume dell’esca, in quanto esso funge da volano dando il suo peso e la sua forza all’azione istintiva di “soffio” da parte della carpa. Da questi concetti, più volte approfonditi da menti molto più impegnate e preparate di quella del sottoscritto, è nato quello che è stato denominato Blow-out rig (Kevin Nash) ovvero il rig anti espulsione per eccellenza, per qualità ed efficacia. Il principio del Blow-out è imperniato sul riposizionamento dell’hair rig in corso d’opera, mediante una guaina di diametro calibrato, a scorrimento . Qualora la carpa sia rimasta invischiata nel tranello, i suoi potenti soffi d’acqua porteranno la guaina a scivolare sul gambo dell’amo, spostando il punto d’ uscita del capello in prossimità dell’occhiello, punto favorevole per ottenere il volume dell’esca in una posizione anteriore rispetto all’amo, posizione poco congeniale al pesce per essere sfruttata per togliere l’amo con l’effetto “paracadute”, che , per contro, vincola l’amo a penetrare ulteriormente. Risulta chiaro che una posizione corretta del capello , compresa tra la punta e l’ardiglione, è tale che in caso di rigetto da parte del pesce, possa essere molto semplice scardinare la punta dell’amo , in quanto l’esca traina l’amo in corrispondenza della sua curvatura nel punto diametralmente opposto alla punta. Personalmente ho adottato con profitto tale montaggio per lunghi periodi ma con l’andar del tempo le mie pretese si sono un pochino affinate a tal punto che in talune acque ho dovuto sostituire il mio rig perché non rispondeva appieno alle caratteristiche richieste. Questo derivava principalmente dal fatto che certe volte ci si trova ad affrontare alcune condizioni particolari che possono richiedere soluzioni diverse. Mi sto certamente riferendo al fatto che il blow-out tecnicamente impone una lunghezza minima dell’hair abbastanza generosa , essa infatti non consentiva di pescare con accuratezza in acque dove erano presenti esemplari di carpa erbivora, oltre al fatto di ricevere il disturbo di cavedani insistenti che riuscivano, a volte, a mettere fuori posizione l’hair , aggiungo poi il fatto legato alla non sempre facile reperibilità della guaina, che deve sempre essere del diametro appropriato, pena uno scorrimento anomalo. Questi sono, in breve, i motivi che sono serviti da detonatore per riuscire a motivarmi concretizzando ed ottimizzando i concetti sinora espressi, materializzandoli con un hair rig che molto immodestamente ho voluto denominare hair-break rig . Con questo non vorrei essere tacciato per colui che ha la pretesa di voler inventare qualcosa a tutti i costi, ben lungi da me ciò, non voglio neppure sminuire o ridimensionare dei veri e propri capisaldi della nostra tecnica, credo solo che qualsiasi sia il particolare esso possa meritare quantomeno un dubbio, ed ogni nostro dubbio è un pensiero; sono proprio i nostri pensieri a farci crescere… Veniamo ora all’hair-break rig, ossia montaggio a rottura del capello . I concetti menzionati sin qui aiutano a capire come la rottura del capello possa, svincolando l’esca dall’amo, giocare a nostro favore, in quanto il pesce non potrà più sfruttare quell’effetto “paracadute” prima offerto dall’esca sottoposta alle poderose soffiate. Strano: quante volte, in passato, nel testare nuovi materiali (hair braid) mi arrabbiavo molto perché mi trovavo dopo ogni cattura a dover sostituire il finale e adesso invece sono qui ad implorare che lo stesso si rompa al primo rigetto del pesce! Controindicazioni pericolose per chi è vittima delle proprie manie!! In questo contesto mi sembra alquanto sensato inserire un’osservazione sulla “ritmica” di queste delicate fasi; dopo attenti periodi di osservazione ho concluso che la carpa alterna dopo ogni fase di espulsione una chiusura della bocca, questa chiusura con l’amo fissato al labbro inferiore è la responsabile delle frequenti accidentali rotture del capello ma anche di quelle esche inspiegabilmente “sfilate” lungo l’hair . Ciò accade in quanto la boilie viene forzata verso l’esterno, da questo è facile dedurre che tale situazione può facilmente essere ricondotta ad un momento cruciale da far giocare a nostro favore. In effetti l’unica difficoltà è consistita nel trovare un materiale con il giusto “point break”, tenendo presente che quest’ultimo può non essere universalmente adattabile a tutte le acque. La carpa allamata , in breve perderà l’esca e si troverà nella situazione di non avere alcun fardello che dia forza alla sua azione ( piombo escluso) . Due sono le vie da percorrere per ottenere l’effetto desiderato, la prima ,che è quella che preferisco, in quanto mi convince di più presentare l’esca su di un hair quanto più sottile e morbido, è senz’altro quella di costruire il capello con materiali quali Fox mega silk 6 lb oppure Carp’r’us Gossamer i quali ci costringeranno a sostituire il terminale dopo ogni cattura (o quasi), evento benefico in quanto ci consentirà di pescare sempre con finali al massimo della resa, la seconda, ma non da sottovalutare in quanto a praticità, è quella di creare un senza nodo inserendo un micro “D” in Amnesia, sul quale sarà facile applicare l’esca legata con del monofilo in nilon con portata consigliata dai 400 ai 1200 gr (0,6/0,10 mm) questo avrà la funzione di hair rig . Dopotutto mi sento di sconsigliare vivamente l’uso dell’hair break in talune acque infestate da grossi e invadenti cavedani (breme, carassi , ecc. fa lo stesso…) in quanto con i loro potenti attacchi potrebbero riuscire a spezzare il capello (successo) vanificando le nostre preziose ore di svago. Sarà inoltre proficuo in questi casi scegliere un capello di portata appropriata. Un ultimo particolare ma assolutamente da non trascurare è dato dalla proprietà anti-shock che questo montaggio può possedere. Mi spiego meglio: la mancanza dell’esca a contatto diretto con la bocca del pesce durante tutto l’arco del combattimento (come invece normalmente avviene) consente alla carpa di non memorizzare tutte le negatività e lo stress date dalla cattura associandole all’esca che avrebbe voluto ingerire e che invece le è rimasta lì, mezza dentro, mezza fuori…Ragionando sempre nell’ottica che questo nostro carpfishing è una grande ruota che gira, gira e non si ferma, perchè i metodi di oggi non funzionano già più, funzioneranno bene domani, le carpe saranno le stesse, nel frattempo avranno dimenticato? Quelle carpe in fondo, sono un po’ come noi, ogni tanto dimenticano o forse… Va bene così…!