PH: CHIMICA APPLICATA al carpfishing
L’ignoranza è la più grande delle nostre paure…
Nessuno aveva mai pensato che comprendere un argomento misterioso, avvolto da un mantello scuro di scientificità fasulla, per tener lontano con la paura , nei labirinti tortuosi di discorsi sbagliati, la curiosità dell’uomo della strada , fosse così facile…
Di Stefano Forcolin
Nella recente bibliografia di settore, si è scritto molto sulle correlazioni, che il fattore pH potrebbe avere con la pesca della carpa. Spesso però, questi scritti hanno avuto il merito di creare solo molta confusione, ed hanno contribuito a mettere in piedi falsi miti e fuorvianti credenze che hanno portato molti a complicarsi la vita per nulla e di conseguenza a sbagliare. Inevitabilmente è successo che molti appassionati prendessero le distanze da ciò che non riuscivano a capire, più per paura di ottenere eventuali, inutili complicazioni, che per un reale disinteresse verso un argomento che, se compreso, porta ad un ragionamento più completo e ponderato. Tutto sommato comunque, anche senza interessarsi del pH, molti di questi pescatori hanno continuato a catturare e si sono accorti, che non è certo questo che fa la differenza, ci mancherebbe che la risposta a tutto fosse tutta qui! Un dato inconfutabilmente certo è che molti dei migliori pescatori di carpe che conosco, non hanno mai contemplato questo fattore , a favore di altre pratiche prioritarie, nel pianificare le loro sessioni. Questo però non ci deve portare a pensare che sia un dato così scontato, e da ignorare totalmente o meglio, potrebbe anche continuare ad esserlo per la maggioranza dei carpisti, come non lo è stato invece per le aziende che si sono occupate di formulare le essenze aromatiche che troviamo in commercio. Se i pescatori catturano senza grattarsi troppo il capo lo si deve anche al pH degli aromi che comprano, perché tali aromi sono stati architettati tenendo espressamente conto dei valori di pH delle acque della nostra penisola. Tuttavia per avvicinare questi concetti che per certi aspetti sono un po’ troppo scientifici , alle menti pragmatiche e vogliose di concretezza dei pescatori, ci dovremo sforzare di semplificarne lo studio, attenendoci ai parametri predominanti, solo così ci renderemo conto di aver ampliato il nostro bagaglio di conoscenze, in maniera favorevole ai nostri scopi, come? Le cose da ricordare non sono molte.
Il pH è un dato che misura il grado di acidità/basicità di un elemento . La scala dei valori è compresa tra 0 e 14, dove lo zero è inteso come valore acido e
14 invece, come valore basico. Va da sé che 7, il valore centrale della scala, sarà considerato come pH neutro. Ma scendiamo subito nello specifico dicendo che in un’acqua con
pH 4,3, le carpe muoiono in cinque giorni, e che pH pari a 8,7 è il limite massimo per considerare un’ acqua “buona”. I valori compresi tra 5 e 9 sono i “paletti” di minimo e massimo entro i
quali il pesce riesce a vivere. Quello che è fondamentale sapere, è che tutte le acque , fatto salvo casi particolari, mediamente riportano valori di pH compresi tra 6,5 e 8,5. Per
correttezza ed onestà intellettuale denomineremo quelle inferiori a 7, acque tendenzialmente acide, e quelle superiori a 7, tendenti al basico. Potremo anche affermare che la maggioranza
delle acque del nostro paese (e non solo), sono tendenti al basico (Endine, Pusiano e Bolsena per es.) L’affermazione è tratta da dati scientifici, (C.N.R.) le quali si basano su molteplici
fattori di misurazione, che fanno fede ad una metodologia inappellabile . Potremo anche tranquillamente affermare che un’acqua tendenzialmente basica, potrà divenire tendenzialmente
acida, solamente in particolari condizioni, per esempio, un forte inquinamento. Esiste anche una minoranza di acque, ossia quelle che sono tendenti all’acido, e sono quelle dove,
guarda caso, l’inquinamento è più presente. Cave a pagamento, dove un evidente impoverimento dell’ambiente acquatico, dovuto in primis alla natura del fondale ed allo scarso ricambio
d’acqua, poco nutrimento naturale e presenza di molti pesci e molti pescatori (che pasturano) sono motivo di acidificazione dell’acqua, fatto riscontrabile anche ad esempio nei canali di
bonifica, dove l’insufficiente ricambio idrico, unito agli scoli delle coltivazioni, contribuiscono ad abbassare il pH, rendendo tendenzialmente acide questa tipologia di acque. Rimane
chiaro il fatto, comunque, che la quasi totalità delle acque sono tendenti al basico. Altra certezza da tenere sempre bene a mente, riguarda le nostre misurazioni, le quali potrebbero
essere approssimative e non del tutto veritiere e quindi risultare del tutto fuorvianti ai fini pratici delle nostre applicazioni, questo per molteplici fattori che vedremo di
disquisire di seguito . A tal proposito è doveroso ricordare che la nostra pesca è eseguita in prossimità del fondale e che quindi il pH che ci interessa è quello relativo al fondo. Dico questo
perché, in alcune situazioni, per altro frequenti nei laghi naturali, tale fattore può essere un dato variabile stagionalmente. L’esempio classico del lago di Endine ce lo insegna, dove la
stratificazione estiva, crea delle masse d’acqua (termoclino) che sono le dirette responsabili delle differenze di pH tra superficie e fondo, anche superiori ad un punto della scala. Vi sono
inoltre, zone dove il pH può essere diverso, per colpa di stagionali sedimenti, tipo un erbaio morto, oppure di foglie caduche. In questi casi il fondale diventa anossico , ossia privo di
ossigeno e di conseguenza si acidifica anche in questo caso, sopra il punto di pH, rispetto altre zone del piano d’acqua. E’ anche abbastanza facile accorgersi di quando finiamo sopra queste
zone: annusando la nostra boilie, dopo averla immersa per qualche ora: puzzerà di melma! A quel punto sarà nostra cura cambiare spot, in quanto , per esperienza , questi siti non proprio
“profumati”, non hanno mai prodotto risultati soddisfacenti. Altro punto che va chiarito, riguarda il pH degli ingredienti che compongono la boilie. Cosa c’è da capire? Innanzitutto che non
è assolutamente interessante sapere il pH dell’esca finita, che comunque , ad onor del vero, in linea di massima è sempre tendente all’acido, perché i migliori ingredienti hanno un pH
tendenzialmente acido. Sappiamo bene invece, che tutto ciò che attira le carpe deve uscire, da subito dall’esca. Questo compito è attribuibile in esclusiva alle parti
liquide che la compongono. Queste, aromi ed additivi liquidi, sono strutturati in modo tale da veicolare perfettamente in acqua. In definitiva, appare chiaro il concetto che quello che il
pesce si troverà ad “assaggiare”, sono le parti liquide, questo è fondamentale capirlo! E’ su queste basi che dobbiamo lavorare e prestare la dovuta attenzione, sapendo che un aroma o
qualsiasi altro liquido, una volta inserito nell’impasto, non verrà modificato nel suo pH ed uscirà dallo stesso con valore inalterato. Questo sarà il “nocciolo” fondamentale della
questione che favorirà gli scambi chimico-elettrici (ionici) di natura attrattiva, ricevuti dal pesce. La carpa può recepire la presenza di sostanze organiche, diluite in acqua in 1-2
parti, su un milione. Questo sta a significare che la sensibilità dell’ “olfatto” nelle carpe è molto sviluppata, molto più di qualsiasi misurazione “umana”, ed è proprio in questa
direzione, ossia l’agevolazione dell’interscambio acqua-esca, che saranno rivolti i nostri sforzi. A questo punto , però, dobbiamo fare attenzione, perché entriamo nel vivo della questione,
ovvero di come possa avere valenza concreta il fattore pH, nella pesca della carpa. La risposta arriva da Mr. Rod Hutchinson, che già nei primi anni ‘80 nei suoi libri, cita i famosi
ed approfonditi studi di “Chemioreceptions in fishes”, dove si evince di come la concentrazione (in parti/milione) di molti attrattori liquidi, può virare da attrattiva ( 2 - 6
parti/milione) a repellente (15 parti/mil.) ovviamente in base al grado di pH nel quale questi attrattori vengono disciolti. Questa è l’osservazione di base alla quale si devono le
indicazioni circa i dosaggi minimo e massimo, che le case produttrici riportano sulle confezioni degli attrattori liquidi, e stanno ad indicare il range di copertura minima e massima, al variare
delle condizioni del pH dell’acqua in cui stiamo pescando. Molti pescatori, ignorando quanto detto, snobbano questi range impressi sull’etichetta, li guardano senza capirne bene il senso e la
loro reale importanza, per finire così a pensare che il massimo dosaggio sia quello migliore, anzi metterne qualche ml in più farà sicuramente la differenza, sicuramente per il loro naso! Senza
rendersi minimamente conto di aver combinato un bel guaio e di aver rovinato tutto quel bel lavoro! La conseguenza sensata a fronte dell’errore appena descritto ci fa propendere per un
ragionamento chiarificatore, ossia: Acque tendenti al basico , richiedono sempre i dosaggi minimi di aromi ed attrattori aventi pH tendenzialmente acido (la maggior parte) e
comunque prediligono sempre attrazione chimico-organica (aminoacidi) , rispetto a quella chimico-gustativa (aromi).
Al contrario, acque tendenti all'acido ,possono ricevere i massimi dosaggi degli stessi attrattori a pH acido e sono quelle dove, in definitiva, l'attrazione chimico-gustativa, crea i
migliori risultati. Questo succede perchè in un PH tendente al basico tutti i segnali tendenzialmente acidi vengono amplificati, col rischio palpabile però di un possibile
sovradosaggio che porterebbe a saturare le zone imminenti all’esca, portandoli sopra la soglia di attrazione limite, di 6 parti su milione...viceversa succede in un'acqua tendente
all'acido, nella quale vi è bisogno di dosi massime con le quali non vi sarà rischio reale di saturazione, oppure di attrattori basici i quali creeranno un sicuro scambio ionico. A tale proposito
i sovradosaggi dei (Per altro pochi) aromi con pH basico non hanno creato controindicazioni, anzi hanno sempre portato ad ottimi risultati ,riferiti ovviamente ad acque a pH basico. Diverso
il discorso, parlando di acque tendenzialmente acide, dove questi ultimi andranno dosati con la diligente esperienza che siamo riusciti ad accumulare. Quindi, a seguito di queste osservazioni,
diremo che è meglio non eccedere in segnali prettamente chimici (aromi e dolcificanti) a favore di quelli organici (pre-digeriti, proteici , zuccheri semplici , aminoacidi in forma libera).
Giungiamo quindi ad un’altra naturale affermazione cioè quella di dire che bisogna differenziare il più possibile il pH degli aromi, da quello dell’acqua, per rendere l’esca più
rintracciabile, ma bisogna capire anche che ogni aroma funziona bene in una determinata acqua ad un determinato dosaggio. Va da sé che la maggioranza degli aromi presenti sul nostro
mercato abbia un’origine tendenzialmente acida , fatto salvo per qualche tipo basico, come per esempio lo squid octopuss o qualcun altro sempre al gusto di pesce. Questo perché
la maggioranza delle acque dove andranno a “lavorare” è tendenzialmente basica e aggiungo, è anche quella nella quale si hanno le migliori condizioni di vita in generale e quindi anche per
il pesce, con relativi tassi d’accrescimento ed esemplari, veramente importanti. Il limite più grande che un buon aroma può avere è insito nell'incapacità dell'utente di dosarlo in maniera
corretta (e qui il ph centra, eccome!) perché lo stesso è fuorviato da motivi emotivi (che spesso ricadono sulla voglia di sentire un forte odore sprigionato dalle proprie esche). Gli
impulsi attrattivi, organici e chimici, che una buona boilie deve lasciar uscire, devono essere costanti durante tutta la sua permanenza in acqua, per un tempo utile stimato, superiore
anche alle 48 ore, all’inizio delle quali però, vi è il rischio di una saturazione dei segnali emessi, in quanto troppo forti. Naturalmente tale fattore è condizionato direttamente dal pH
dell’acqua nella quale l’esca è immersa. Questo spiega come mai molti esperti pescatori di carpe, mettano in ammollo sulla stessa acqua dove pescano, le loro esche , prima dell’uso. Tutto questo
viene tradotto, per la carpa, nei range già sopra riportati, ossia attrattivo, compreso da 2 a 6 parti per milione , divenendo repulsive, concentrazioni di segnali superiori a 15 parti per
milione (fonte Rod Hutchinson). Ovviamente questi segnali “aleggeranno” vitali, nei pressi dell'esca e si affievoliranno gradatamente in base a quanto ci si allontanerà da
essa, arrivando inevitabilmente ad uscire dal range di percezione del pesce. Questi preziosi test del maestro britannico, si sono svolti in acquari contenenti migliaia di litri
d'acqua, ed è emerso limpido e chiaro, che in condizioni di liquido immobile (diverso discorso per l'acqua corrente in cui i segnali vengono comunque dispersi dal moto dei liquidi) il pesce
riesce a interpretare correttamente i segnali attrattivi ed arriva alla fonte del segnale (ovviamente nascosta alla vista) da qualche decimetro di distanza. Volendo fare un discorso
semplicistico, è umanamente immaginabile ipotizzare, che la carpa riesca a sentire i segnali di una boilie, di un gambero, o di una cozza all'interno di un' ipotetico metro cubo
d'acqua....oltre mi sembra poco realistico poter arrivare. Attenzione quindi perché in tutti i casi, vi sono pochissime motivazioni che giustifichino un sovra-dosaggio!
Ringrazio l’amico Tomasella per aver avuto la pazienza e l’intelligenza nel trovare le parole giuste per farmi capire questo fantomatico pH, ora non più tanto misterioso anche per il sottoscritto
e spero anche per voi! Un saluto a tutti.
Descrizione foto 1(TROVI LE FOTO NELLA GALLERY FINALE)
In questo caso il test prevede il confronto di una stessa esca, (Richworth strawberry yogurt), su acque diverse. La prima acqua ha un pH pari a 8,4 e si può facilmente notare di come si siano formate molte bollicine, segno evidente di un buon interscambio.Nel secondo campione, l’acqua ha un pH di 6,5 e come possiamo vedere non si sono scaturiti particolari fenomeni, segno evidente che la nostra esca è basata su attrazione tipicamente chimico-gustativa tendenzialmente acida , come l’acqua nella quale è immersa.
Descrizione foto 2
Questo test al contrario del precedente, è incentrato su esche diverse nella stessa acqua. (Goccia di Carnia ph 8.0). Il risultato del primo bicchiere, dove è immersa una boilie self-made composta con soli attrattori di carattere organico (nella fattispecie miele e latte condensato), fa nitidamente notare come sia presente lo scambio con l’acqua a livello di struttura , ma non sia di carattere ionico, in quanto non sono presenti le tipiche bollicine. Il secondo campione , contenente una boilie simile alla prima, ma con attrattori chimico- gustativi (nello specifico una miscela di aromi bubble gum e scopex + nhdc) Fa scatenare una rapida interazione con l’acqua d’ammollo, segno tangibile di una discreta differenza di potenziale tra attrattori ed acqua.
Descrizione foto 3
A mio modesto avviso , l’inconfutabile efficacia dei dolcificanti potrebbe essere attribuibile per certi aspetti, al fattore pH. Sicuramente il fattore gusto è fondamentale in questo tipo di attrattore ma volendo andare dietro la faccia della medaglia, comprenderemo che la maggior parte degli sweetner (di solito in polvere) viene disciolta su basi alcoliche le quali potrebbero avere pH leggermente acidi. Tali dati in relazione a valori di acqua leggermente basiche potrebbero avere una perfetta azione di scambio a livello chimico, senza rischiare la saturazione di carattere attrattivo, tradotta dai sensi della carpa in vera e propria repulsione, il tutto condito da un gusto superlativo, come fosse il migliore degli aromi. Non a caso il dolcificante viene consigliato in una moltitudine di ricette e nessuno ha mai riscontrato controindicazioni.
Descrizione foto 4
Parlando di granaglie, possiamo citare tra le migliori in assoluto. Canapa e mais, un connubio sul quali molti di noi hanno fatto la fortuna in qualche splendida sessione. La prima (canapa) è l’unica granaglia a pH basico, attenzione però: dopo averla cotta inizia da subito un inesorabile processo di fermentazione che porta ad inacidire il composto, ne è quindi consigliabile un uso immediato o il suo congelamento, se si vuole beneficiare della Basicità di questa esca formidabile! Diverso discorso per il mais in quanto granaglia tendenzialmente acida. La cottura ne aumenta le doti attrattive e scatena il processo di fermentazione che nel caso del mais è attrattiva fino ad un certo livello. Far fermentare troppo il mais potrebbe voler dire acidificarlo oltre le famose soglie attrazione/repulsione. A buon intenditor…
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